Pensò di udire una risata, anzi, un suono più sommesso, forse un risolino ironico. Magari aveva semplicemente tossito.

«Molto bene. Vuole perlomeno sedersi?» La sconosciuta tornò dietro la scrivania. «O intende continuare a fare il difficile? Vede, credo che il vantaggio sia nostro.»

Si era sbagliato: quella voce non era rauca, bensì possedeva una morbida profondità che la rendeva, ecco, seducente. Porco Giuda, ammonì se stesso, ma che cosa diavolo stai pensando?

«Voglio notizie di mio figlio.»

«Ne parleremo quando si sarà seduto.»

Che accidenti avrebbe potuto fargli? Era solo una donna. Possibile, però, che fosse sola? Ispezionò l'ufficio: unicamente loro due, benché esistesse un'altra porta, che doveva ovviamente condurre a un locale adiacente. Che i due scherzi di natura si celassero là dentro?

«Sul divano», intimò lei.

Creed scrollò le spalle. Nessun problema. Se fosse stato costretto a uscire in tutta fretta, si sarebbe trovato vicino alla porta aperta. Quando si sedette, percepì un odore di vecchio, piuttosto che di pelle, e nuvole di polvere invasero l'aria. A quel punto si rese conto che l'edificio e i suoi uffici non erano affatto in uso; l'intera costruzione stava probabilmente aspettando il proprio turno per le squadre di demolizione.

«Che cosa avete fatto a Sammy — a mio figlio?» domandò in tono piuttosto mite. Dentro di sé, però, era spaventato, furioso, sconvolto.

«Il bambino sta bene.»

Un bagliore improvviso illuminò le fattezze della donna. L'estremità della sigaretta divenne rossastra e l'accendino si spense.

Creed continuò a fissare, quasi fosse ancora in grado di vedere quel viso.

Era splendido.

Labbra piene color sangue, un naso forte ma non dominante, capelli che incorniciavano le guance per ricadere ondulati al di sotto della mascella. Lei aveva tenuto gli occhi, dalle ciglia folte e lunghe, rivolti in basso, ma gli aveva lanciato una rapida occhiata prima di spegnere la fiammella; dovevano essere marrone scuro, ma gli erano parsi neri. Il suo sguardo era languidamente sensuale.

Joe si schiarì la gola.

«Non ti piace il buio?» Il tono era sensuale quanto l'occhiata. «Non lo trovi riposante? Vela tanta bruttezza, mentre la luce serve soltanto a frantumare le illusioni.»

«Rivoglio mio figlio.»

A quel punto, Creed sperimentò una sensazione simile a quella provata nel cimitero quando i suoi occhi avevano incrociato lo sguardo del folle, la sensazione che il suo cranio venisse invaso. Questa volta, però, l'esplorazione era più dolce, un delicato sondaggio dei suoi pensieri. Rabbrividì all'improvviso, non sgradevolmente. Sembrava che la pelle sulla nuca si stesse dilatando, tendendosi, provocandogli un piacevole solletico che lo fece quasi agitare. E — oh, Cristo santo, non quello, non adesso — qualcosa cominciò a contrarsi fra le sue gambe.

La brace della sigaretta risplendette e lei parve sorridere.

«Certo che rivuoi il bambino», la donna osservò in tono suadente, «ma ci hai provocato parecchi problemi, Joe. Non è facile perdonartelo.»

Creed la guardò alzarsi e aggirare la scrivania, diretta verso di lui. Accidenti se era alta, perlomeno un metro e ottanta! Faceva apparire Sigourney Weaver fragile e assolutamente trasandata. Invece di avvicinarsi, lei si appoggiò al bordo della scrivania, reggendo la sigaretta a pochi centimetri dal viso.

«Ho i negativi, le foto, tutto ciò che volete. Desidero solo che mi ridiate Sammy.» Fu tentato di andare ad afferrarla per le spalle, magari anche per scuoterla un pochino, tanto per farle capire che non era il caso di scherzare con lui. La tentazione, però, non era molto forte.

«Non sono sicura che non sia ormai troppo tardi», dichiarò lei.

«Cosa?» Per un attimo Creed rimase allibito. «Non lo avrete...»

«Ti ho detto che il bambino sta bene. No, non intendevo insinuare niente del genere, per quanto...» Lasciò la frase in sospeso. «Vedi, hai già suscitato interesse in qualcosa che sarebbe stato meglio non toccare.»

«Non è vero. Io sono l'unico a sapere del legame con Nicholas Mallik e, se per questo, non ho ancora capito di che natura sia.»

Pensò di averla udita sospirare, benché potesse trattarsi di una boccata di fumo.

«Tu sai di Nicholas.» Lo affermò con il tono di una moglie che ammette di avere un amante.

«Io, ecco, no.»

«Un vero peccato.»

Che ne fosse al corrente, era l'implicazione.

«Ma dopotutto, forse no.»

Lui rimase perplesso.

«Le dispiacerebbe», mormorò Creed, educato come non mai. «Le dispiacerebbe spiegarmi chi è lei?»

«Vuoi davvero sapere di più di questa storia?»

«Beh, no, non è poi tanto importante. Senta, ho portato con me ciò che desiderate.» Estrasse dal cappotto una grossa busta. «È qui dentro, tutto quello che voi, lui voleva.» Gliela porse.

«Puoi chiamarmi Laura, Joe. Sì, mi piacerebbe che tu mi chiamassi così.»

Quando la donna avanzò, lui credette che intendesse prendere la busta, ma invece la ignorò.

Ora Joe poteva vederla più chiaramente e in qualsiasi altra circostanza avrebbe approvato lo spettacolo. La sconosciuta non era proprio snella, ma il suo corpo appariva sodo, dalle curve aggraziate. Il suo profumo era strano, un po' muschiato, un aroma con un fondo amaro che produceva un effetto bizzarramente erotico. Nella penombra, il suo viso era davvero splendido.

La busta gli scivolò dalle dita nel momento in cui lei gli si inginocchiò davanti, sussurrando: «Lascia che ti respiri, Joe».

 

20

 

non si trattava esattamente di un banco di ricezione, né si trovava in un vero e proprio atrio d'ingresso. Era un vecchio tavolo di quercia dall'aria un po' logora e dalle gambe intagliate situato in un corridoio dal pavimento di marmo nei pressi dell'entrata della clinica. La donna che vi sedeva (molto grassa, con il viso florido di una dodicenne sovrappeso) guardò Antony Blythe con espressione sorpresa, deponendo una copia di Elle.

«Posso aiutarla?» Possedeva una voce in qualche modo distante, quasi avesse perso molta della propria forza nella lotta per penetrare attraverso tutti quegli strati di carne.

In quell'uniforme azzurra, sopra la quale indossava un golfino rosa, ricordò al cronista un dirigibile color pastello. «Mi chiamo Wingate», la informò. «Dello studio legale Birchenough, Mibbs e Burroughs», aggiunse, come fosse certo che questo spiegasse tutto.

Lei lo fissò con occhi rimpiccioliti dal grasso che li attorniava.

«La mia segretaria ha telefonato ieri per fissare un appuntamento.»

La donna, di età imprecisata fra i venticinque e i quarant'anni (il suo peso rendeva difficile stabilirlo con precisione), sbatté le palpebre. «Temo non l'abbia fatto, signor...»

«Wingate. Beh, comunque qualcuno di voi ha accettato l'appuntamento», mentì lui con disinvoltura. «Sono qui per vedere la signora Buchanan, Grace Buchanan, riguardo l'eredità della madre.»

«La madre...?»

Blythe mostrò solo una minima parte della propria abituale impazienza. «Lily Neverless, l'attrice. Forse ricorda che è morta di recente. Ho fatto molta strada e non ho troppo tempo a disposizione...»

«Mi dispiace, ma a Grace non è permesso ricevere visite.»

«Spiace anche a me, ma non potete negarmi l'accesso. Si tratta di una questione di rilievo.»

«Temo non stia abbastanza bene...»

«Può darsi, ma non è questo il punto», proseguì il cronista. «In base alle leggi devo vederla, che lei capisca quanto le dirò o meno. In un certo senso, è come notificare un mandato, solo che in questo caso è interamente a beneficio del ricevente. Vuole per cortesia provvedere a organizzare l'incontro in modo che io non debba indugiare oltre?»

Gli occhietti porcini lo fissarono vacui. «Può attendere un momento?» Si alzò dal tavolo come una montagna dal mare e si mosse con rapidità e leggerezza sorprendenti lungo il corridoio, scomparendo infine dietro una porta dopo un'ultima occhiata al visitatore.

Blythe riflette sul da farsi in caso il responsabile di questo manicomio di gran classe avesse respinto la sua richiesta. Insistere? E se avessero preteso di vedere qualche documento? Battere in rapida ritirata, ecco l'unica soluzione. Fingere di essere l'esecutore testamentario di Lily era una mossa brillante, che però non gli avrebbe consentito di spingersi troppo in là con la faccia tosta.

Si guardò attorno, incuriosito da questo luogo chiamato Mountjoy Retreat: non sembrava un ricovero per folli, nonostante l'alta recinzione esterna, né si definiva tale. Una casa di cura per gli anziani, i malati o i mentalmente esausti? si chiese. Non aveva ancora visto un ospite. L'unica persona incontrata finora era l'obesa addetta alla ricezione. Quanti anni avrebbe avuto ora la figlia di Lily? Una sessantina? Più o meno. Era rinchiusa da circa trent'anni, povera mentecatta.

Lo scopo originario di Blythe era stato quello di scoprire il legame fra la Bestia di Belgravia e Lily Neverless (doveva esistere un motivo per la visita del figlio di Mallik alla tomba dell'attrice), ma le poche telefonate agli amici della diva non erano approdate a nulla, perlomeno in principio (eppure costoro non avrebbero avuto scrupoli a barattare una confidenza in cambio di una menzione sul giornale). No, proprio non ricordavano alcun rapporto fra Lily e un certo Nicholas Mallik, ma del resto lei aveva avuto un tale numero di «conoscenze» maschili! Forse l'unica persona in grado di saperlo, gli aveva suggerito un finanziere «legato» in passato all'attrice, era la figlia, anche se probabilmente era troppo fuori di zucca per fornire risposte sensate. E dove si trovava adesso? Dio solo lo sa, amico mio.

Naturalmente ciò aveva semplicemente accresciuto la curiosità di Blythe, dato che il pubblico, e dunque i giornalisti, amava gli scheletri negli armadi, desiderava che le vecchie ossa venissero disseppellite e sparse al suolo. Un caso di follia in famiglia era fantastico, purché la famiglia stessa fosse famosa (un pazzo all'interno del Palazzo Reale era anche meglio, ma virtualmente impossibile da pubblicare).

Quindi, chi poteva conoscere il luogo in cui veniva tenuta la figlia di Lily?

Semplicissimo. I legali dell'attrice. Si era fatto fornire il nome dello studio dagli avvocati del giornale (qualche anno prima, la Neverless aveva citato il Dispatch per aver pubblicato un articolo «falso e maligno» sul suo conto; mille scuse e un assegno erano serviti a lasciar cadere la causa). Aveva quindi telefonato a Birchenough, Mibbs e Burroughs chiedendo se il testamento di Lily fosse già stato letto e, senza nascondere la propria identità (gli avvocati sono abituati a quel genere di domande da parte della stampa), se potevano informarlo circa i nomi dei beneficiari. Il legale, che aveva tutto il diritto di negargli una risposta, si era rivelato sorprendentemente collaborativo e gli aveva spiegato che la sola erede era la clinica Mountjoy Retreat. Ma la diva non aveva lasciato niente alla figlia? aveva domandato Blythe. Anzi, si era fatto in modo che Grace Buchanan ricevesse tutte le cure necessarie, era stata la risposta, e il sottinteso appariva ovvio. Quindi Lily aveva destinato tutto alla casa di cura, ricovero, manicomio o qualsiasi gradevole definizione si voglia attribuire all'istituto per picchiatelli che si prendeva cura di sua figlia. Doveva aver nutrito una notevole fiducia nelle persone che gestivano quel posto.

Trovare l'indirizzo del Mountjoy Retreat si era rivelato relativamente semplice; individuarlo sulla piantina era stato difficile.

Infine, dirigendosi nella zona e cercando fra i sentieri di campagna, era riuscito a scovare la sua meta. Di colpo si chiese come mai non comparisse neppure negli elenchi telefonici e si domandò anche se gli avrebbero permesso di vedere Grace Buchanan.

L'ammasso azzurro comparve all'estremità del corridoio, avviandosi verso di lui con il viso flaccido privo di espressione.

«Va bene», squittì la donna.

«Posso vederla?»

«Sì, ma non per molto. Vuole seguirmi?»

Lui obbedì, allungando il passo per tenerle dietro (come faceva a procedere così velocemente?). Su per un piano di scale, lungo un luminoso corridoio bianco, quindi un'altra rampa di scalini. Mio Dio, ma dove la tengono, nell'attico? Blythe arricciò il naso all'odore malsano che pervadeva l'aria, uno sgradevole lezzo dolciastro non dissimile dal vomito di un neonato. Al suo passaggio, una porta sulla destra si socchiuse di qualche centimetro e lui intravide un occhio solitario umido e giallastro, circondato da una pelle tanto floscia e squamosa da poter appartenere a qualche creatura lebbrosa fatta rinchiudere per il suo aspetto ripugnante. Fammi morire prima di diventare vecchio, pregò silenziosamente il cronista. La sua obesa guida si bloccò di colpo, forse allertata dall'atroce fetore che aveva riempito il corridoio come una scia di vapore inquinato; si voltò e chiuse con forza l'uscio della stanza da cui proveniva quell'odore tremendo. A lui parve di udire un flebile lamento giungere dall'interno.

La donna riprese il cammino senza nemmeno degnarlo di un'occhiata, conducendolo giù per una scalinata e lungo un altro corridoio, stretto al punto da non consentire al giornalista di affiancarsi alla grassona neppure se lo avesse voluto.

Un'ulteriore rampa di gradini (che questa volta salirono) si snodava a spirale, come se fossero entrati in una torre (e, in effetti, lui ne aveva notate due dall'esterno). Una volta in cima, sul piccolo pianerottolo si affacciava un'unica porta.

L'addetta alla ricezione si fece di lato. «Grace Buchanan», annunciò, come se si riferisse al nome della porta.

Blythe inarcò le sopracciglia.

«Può entrare», affermò lei sorridendo.

A quel punto, il giornalista si accorse di non volerlo fare. Improvvisamente desiderò soltanto di potere tornare indietro, ripercorrendo i propri passi lungo i corridoi fino all'atrio, per poi saltare sulla Rover e rientrare difilato nel caldo mondo dello scandalo e della calunnia che tanto amava e conosceva a fondo.

Sfortunatamente per lui, si trattò di un impulso passeggero, un'intuizione velocemente soppressa davanti all'opportunità di ricavare una storia succulenta. Stava per incontrare la figlia demente di una famosa diva, una persona rinchiusa da oltre trent'anni, prigioniera della vergogna della sua stessa madre. La principessa nella torre, la pazza nella soffitta! Era un pensiero irresistibile.

Afferrò la maniglia, lanciò una rapida occhiata alla donna obesa (in quegli occhietti lucidi si notava forse un lampo di derisione?) e aprì il battente.

Di nuovo si sentì rivoltare al fetore che gli porse il benvenuto, benché questo fosse lievemente diverso, forse più acre, di quello che si respirava nei corridoi sottostanti.

Oltrepassò la soglia della stanza in penombra e si trovò di fronte all'essere più singolare che avesse mai visto in vita sua (ahimè, una vita che stava per dimostrarsi ancora molto breve).

 

21

 

in effetti, lei lo respirò.

Creed rimase perplesso. Ma che razza di gioco era?

La donna, Laura, gli strofinò il naso contro il collo, respirando avidamente dapprima con le narici, poi con la bocca, catturando l'aria attorno a lui — il suo odore! — e attirandola dentro di sé. Quindi si spostò sul suo petto, scostandogli il cappotto, quasi premendo le labbra sulla maglietta; infine di nuovo in alto, sotto il suo mento, fino a sfiorargli lievemente la bocca.

Joe non poté fare a meno di respirare lei, gustare il suo aroma, quell'amara fragranza muschiata tanto più forte una volta che la donna era così vicina. La folta capigliatura scura gli solleticò il naso, e lui spostò la testa di lato, guardando il soffitto quasi si stesse appellando all'Onnipotente lassù.

«Ascolti», tentò di protestare, ma Laura aveva iniziato a scendere nuovamente, oltre il petto, fino allo stomaco. Gli sollevò la maglietta, scoprendogli la pelle e respirandogliela.

«Oh, no», mormorò Creed mentre l'animale al suo inguine ricominciava ad agitarsi. Le mise una mano sulla spalla, premendo con scarsa insistenza; senza alzare il capo, lei gliela scostò.

La donna si spinse verso le cosce, indugiando sul basso ventre, continuando ad annusare. I suoi respiri erano divenuti più affannosi, quasi urgenti.

Joe gemette dentro di sé nell'avvertire i primi accenni di un'erezione.

Con un certo sforzo dichiarò: «Sono qui per Sammy, non... non per... questo...»

Lei gli rivolse una rapida occhiata, per tornare subito a riprendere il suo bizzarro esercizio.

Creed si dibatté sul divano.

Laura si sfiorò i bottoni del vestito con un movimento tanto abile che sembrarono aprirsi di loro volontà; mentre li percorreva con le dita, tuttavia, non smise di respirarlo, le labbra ora socchiuse e inumidite.

Oh, merda, si disse Joe, oh, merda, no, non questo. Cristo, non adesso!

La donna si lasciò scivolare il vestito dalle spalle.

Aveva la pelle bianchissima. Anche in penombra, lui si accorse che era candida e pura come l'avorio, ma morbida, tanto morbida da pretendere di venire toccata.

Noi sappiamo che Creed non era il più saldo fra gli uomini per quanto riguardava la morale (in effetti, non avrebbe neppure considerato immorale il sesso con una perfetta estranea), ma il pensiero del pericolo in cui versava il figlio smorzava almeno in parte l'attrattiva della situazione. Lottò per mettersi seduto (perché era sprofondato nel divano, la nuca quasi sul bracciolo).

«La smetta!» esclamò, con una punta di disperazione nella voce. «Sono qui per riavere mio figlio, ecco tutto, nient'altro. Piantiamola con queste scemenze e parliamo d'affari. Chi cazzo sei, in primo luogo?»

Lei si fermò e gli sorrise.

«Te l'ho detto, puoi chiamarmi Laura.»

«Laura chi, Laura che cosa? Qual è la tua parte in tutto questo? Sono venuto qui per vedere il pervertito che ha rapito il mio bambino, non una fottuta ninfomane che si eccita annusandomi! Farai meglio a parlare, prima che cominci a infuriarmi sul serio.»

I suoi occhi scuri lo osservavano attentamente, eppure vi si scorgeva una certa vacuità, una specie di vaghezza sconcertante, per non dire addirittura sinistra.

Lui avvertì nuovamente quel sondaggio, lievi dita intente a esplorargli la mente, sensuali nel toccare determinati nervi e pensieri. E quei pensieri diventarono improvvisamente cattivi: immagini di lei e di se stesso. No, no, non ora! Pensò di averla udita ridere, ma le sue labbra erano immobili, ancora sorridenti, e il suono era troppo distante, troppo sordo, quasi provenisse da una soffitta chiusa. Laura non aveva riso, ma la risata proveniva da lei.

La donna si toccò nuovamente l'abito, che si aprì fin quasi alla vita. Ora il tessuto appariva trasparente, come se avesse subito una metamorfosi in leggerissimo velo, e lui poté scorgere la curva dei suoi seni e la sfumatura scura dei capezzoli induriti. Lei scostò il vestito e Joe gemette di piacere alla vista del candore di quel corpo.

Tentò di parlare, si sforzò di resistere, ma era solo un essere umano e, ciò che conta di più, era solo Creed. Doveva accarezzare quella pelle nuda.

Lei gli fermò la mano.

Poi protese un braccio verso di lui. La cerniera lampo dei suoi jeans si aprì nel medesimo, magico modo dei bottoni un attimo prima, quasi senza essere toccata (o, più realisticamente, le sue dita erano così esperte da far sembrare che i vestiti si sfilassero per loro conto). Quando lei scavò più a fondo, i suoi polpastrelli erano freddi e morbidi. Gli espose i genitali.

Joe si spostò, incerto se raggiungerla sul pavimento o se attendere che lei venisse sul divano. Laura gli depose le mani sulle cosce per tenerlo fermo.

Guardandosi, lui si meravigliò per le proporzioni della propria erezione: da un bel pezzo non si eccitava fino a raggiungere dimensioni di tale eccellenza. Erano degne di una foto.

Desiderava terribilmente quella strana donna. A tal punto che Sammy era ormai divenuto un remoto pensiero alla periferia del suo cervello, non del tutto dimenticato, ma neppure ben presente. Il senso di colpa, se mai lo assalì, fu facilmente sopraffatto dalla lussuria.

«Vieni...» la invitò con la gola secca, ma lei sorrise e continuò a trattenerlo, premendo saldamente sulle sue gambe. Lo lasciò andare solo per potersi toccare i seni nudi. Con gli occhi socchiusi si accarezzò i capezzoli, eccitandosi ed eccitando Creed ancora di più. Di nuovo lui cercò di avvicinarsi, ma Laura lo scansò, ondeggiando all'indietro sui calcagni, impedendogli di sfiorarla.

La donna rimase così, a gambe divaricate, e sollevò la gonna, mostrando le cosce lattee, le cosce più erotiche che Creed avesse mai visto, così meravigliosamente tese in quella posizione totalmente rivelatrice, la vallata scura nel mezzo tanto allettante.

Gemette forte quando lei sollevò ulteriormente l'orlo del vestito, permettendogli di guardare l'oscurità ancor più profonda, la peluria simile a una grande freccia nera che indicava la direzione in cui lui desiderava viaggiare.

Troppo. Per Creed era troppo. Si lasciò cadere a terra, in ginocchio davanti a Laura, la schiena appoggiata al divano. Lei non aveva cercato di fermarlo.

La donna immerse la mano dentro se stessa e rabbrividì, chiudendo gli occhi per un attimo, poi protese le dita e gli bagnò le labbra del proprio umore. Dopo un brevissimo istante di repulsione, Joe se le leccò.

Lei tornò a toccarsi e, questa volta, inumidì il suo pene eretto in tutta la sua lunghezza.

Le dita bagnate lo lasciarono nuovamente nel momento in cui Laura cominciò ad accarezzarsi le cosce, su e giù, spostandosi sempre più in alto a ogni passaggio finché non immerse entrambe le mani nella nicchia buia, arcuando il corpo all'indietro in modo da protendere la vulva verso di lui. Creed, con gli occhi fuori dalle orbite, ansimò al ritmo dei suoi rantoli.

Attorno a loro la stanza si oscurò.

Lui non poté resistere oltre. Si gettò su di lei, slacciando il bottone dei jeans e abbassandoli nel contempo.

Laura gridò quando caddero sul pavimento.

Il passaggio di Joe fu ostacolato dalle mani della donna, che ancora si accarezzava con movimenti alternativamente bruschi e teneri, bruschi e teneri, le punte delle dita sempre più nascoste alla vista. Lui le afferrò i polsi per scostarle le mani e Laura gli consentì l'accesso. Finalmente la penetrò (in fretta, opportunista come sempre) e l'ebbrezza di quello sprofondare nella fessura umida lo fece urlare, sbavare, stringerle la vita sotto il tenue tessuto in modo da insinuarsi dentro il suo corpo fino al limite e infine spingere e spingere finché i fluidi non cominciarono a erompere.

Ma Laura lo respinse al primo scaturire del liquido seminale, che si versò sulle sue cosce, sul vestito e, mentre lui rotolava via, si sparse sul pavimento in macchie lattee.

La stanza divenne ancora più buia.

Lei si sollevò su un gomito e rimase a osservare Joe, il petto ansante.

Per parte sua, Creed era confuso. Svuotato, ma confuso. E deluso. Inebriato e non del tutto sazio.

La donna cominciò a ridere, dapprima sommessamente, poi più forte. Lui le rivolse un sogghigno vacuo, che si fece incerto quando Laura emise un grugnito sgraziato, seguito da una poco elegante sghignazzata.

Il suono cessò di colpo mentre lei lasciava vagare lo sguardo sul suo corpo, fermandolo infine sui genitali e studiando il pene bagnato. Avvertendo un nuovo fremito d'eccitazione, Creed gemette, pensando che non era possibile, non così presto: benché non completamente soddisfatto, era di certo assolutamente esaurito. Eppure no, il suo membro ribelle si contrasse e iniziò a indurirsi, come mosso da volontà propria.

Laura sorrise mentre un'ombra simile a un velo le passava sul viso.

Con movimento languido, intinse le dita in una chiazza di sperma che le bagnava una coscia, portandosi il liquido dapprima alle labbra e poi, con seducente lentezza, alla vagina.

Qualcosa si innalzò da quel secondo orifizio e si librò nell'aria, qualcosa di nebuloso, indefinito, ma pur sempre una forma; salì nell'oscurità sovrastante, più consistente di un vapore in quanto qualcosa si muoveva al suo interno, un contorno dentro una sacca informe.

Altre appendici protoplasmatiche cominciarono a sollevarsi dalle macchie di seme che le coprivano il vestito. Una forma minuscola galleggiò al di sopra di un frammento madreperlaceo fra Creed e la donna.

Lei le osservò volteggiare verso il soffitto con espressione rapita, come una bambina potrebbe guardare uno stuolo di palloncini lasciati liberi verso il cielo.

Joe ebbe freddo, una sensazione così acuta e improvvisa da farlo sussultare in preda ai brividi. «Cosa sono?» chiese con voce bassa e malferma.

Lei non rispose subito, ma continuò a fissare quelle specie di nuvole che si appiattivano sul soffitto, espandendosi in modo da collegarsi l'una all'altra.

«Fantasmi», disse dopo qualche tempo, sempre senza guardarlo. «I fantasmi delle emissioni.»

«...che diavolo...?» borbottò lui.

«Appena svezzati», aggiunse come se questo spiegasse tutto. Sospirò sconsolatamente. «Non ammonteranno a un granché.»

Creed armeggiò con i vestiti, decidendo di averne avuto abbastanza. Cercò di alzarsi in piedi con i jeans e gli slip ancora attorno alle ginocchia e perse l'equilibrio, andando a cadere sul divano.

Con calma, Laura si girò verso di lui. «Sai che non te ne andrai.»

«Col cavolo!» strillò Joe, tirandosi su i calzoni e tentando nuovamente di alzarsi nel medesimo tempo.

«Non abbiamo ancora finito.»

Di colpo lei si eresse in tutta la sua statura, togliendosi l'abito e rimanendo nuda di fronte a lui, curiosamente ombreggiata nella luce inconsistente, le gambe divaricate e le braccia protese. Le forme sul soffitto scesero e le girarono attorno. In una di esse, Creed credette di scorgere un visetto sconvolto dal dolore, una cavità aperta al posto della bocca, macchie scure dove avrebbero dovuto trovarsi gli occhi; due moncherini, probabilmente braccia lillipuziane, sembravano sforzarsi di strappare la sacca trasparente in cui la creatura era imprigionata.

Parecchie entità simili si mossero in cerchio intorno alla donna, acquistando velocità, volteggiando fra le sue gambe, talune scomparendo dentro di lei per poi riemergere dopo un secondo dalla bocca socchiusa.

Joe si diresse alla porta.

Era chiusa. Ma come diavolo era accaduto? Sarebbe dovuta essere aperta! Peggio ancora, non riuscì in alcun modo a smuovere il battente.

Tenendosi i jeans all'altezza della vita con entrambe le mani, si voltò a fronteggiare Laura.

OhmioDiolatestastavatoccandoilsoffitto!

E, come se non bastasse, quella testa era anche cambiata! Il viso si era allungato in un muso! Ora la donna assomigliava a una volpe priva di pelo! Una volpe nuda e sogghignante! I suoi seni si erano trasformati in lunghe mammelle pendenti, la peluria all'inguine in una barba che sfiorava il pavimento. E le sue gambe! Filiformi e nodose, possedevano dita smisurate e ricurve.

Sbatté le palpebre, incapace di credere ai propri occhi, e di colpo si trovò davanti la stessa donna, nuda e bellissima, dalla pelle perfetta e per nulla distorta. Chiuse gli occhi per una frazione di secondo e, quando li riaprì, la creatura mostruosa era tornata, circondata da facce grottesche che si libravano nell'aria. Fu deriso da vocette malformate e dalla risata di Laura.

Si voltò e la udì esclamare: «Aspetta».

Era di nuovo una donna, in piedi al centro della stanza, ancora seducente ed eccitante benché lui fosse terrorizzato oltre ogni limite.

«Prometto di non farlo più», gli assicurò.

Anche le forme eteree erano scomparse.

«Come...?»

«Semplice divertimento», lo blandì lei, «solo uno stupido gioco. Ti prometto che mi comporterò bene. Se rimani.»

Joe scosse il capo, più per schiarirsi le idee che per rifiutare il suo invito. «Stai pasticciando con il mio cervello», dichiarò, furioso e risentito.

«Naturalmente», fu la risposta. «Naturalmente.»

Gli sorrise dolcemente e la sua pelle cominciò a espandersi.

«Oh, Cristo...» gemette lui.

Questa volta Laura non si allungò, bensì si tese in una specie di ammasso mucoso. Mantenne una parvenza di testa, ma assottigliò le guance fino a farle diventare dapprima trasparenti e poi veri e propri buchi, cavità che si unirono alla bocca sogghignante in un'unica, enorme ferita in cui una lingua lucida ed esangue si contorceva come un verme gigante. I suoi occhi erano caduti in avanti perché la pelle che li attorniava era divenuta troppo gelatinosa per contenerli e il suo naso gocciolò fino a trasformarsi in una singola goccia umida. I capelli, invece, erano rimasti intatti.

La pelle fra le braccia protese e il corpo era come una ragnatela così sottile da consentirgli di vedere la luce che filtrava dalla finestra alle spalle della creatura. I seni erano completamente scomparsi nel torso elastico e il pelo pubico toccava ora il pavimento fra piedi ridotti a semplici pozzanghere in espansione.

Lui era a malapena consapevole delle forme indistinte, i demoni scaturiti dal suo stesso seme (benché al momento non fosse cosciente di quello specifico fatto) che volteggiavano nella stanza, involucri contenenti faccette smunte, alcune sogghignanti, altre tormentate, tutte assurde.

La massa tremolante e appiccicosa davanti a lui si innalzò, cominciando a incurvarsi alla sommità come un'onda marina, mentre nuove spaccature si aprivano nella carne (poteva ancora essere chiamata così?) che si andava tendendo fino ad assumere lo spessore di un preservativo. Creed rimase impietrito dall'orrore, ipnotizzato, paralizzato e persino scandalizzato (era talmente disgustoso!). Una vocina dentro di lui gli intimò di fuggire, ma un'altra vocina obiettò che la porta alle sue spalle era sbarrata. Joe non prestò attenzione a nessuna delle due perché era troppo sconvolto da quella cosa — quell'apparizione — che torreggiava sopra di lui, espandendosi come una coperta vischiosa e in brandelli con la grottesca parodia di una testa alla sommità e pazzesche appendici agli angoli.

La cosa cadde. L'enorme distesa di muco gocciolante piombò su di lui come una rete su un animale, avvolgendolo completamente, riempiendogli la bocca, gli occhi e le narici, strisciando sulla sua pelle e imprigionandogli il corpo. Il suo grido fu soffocato dalla sostanza elastica, che si tese sulla sua bocca spalancata in modo che l'aria emessa dai polmoni formò una bolla simile a chewing gum. Quella roba era pesante, ma non al punto da gettarlo a terra: aveva un odore pungente, acido, come quello del fluido seminale, e il suo tocco vellutato risultava perversamente sensuale, benché (fortunatamente per lui) non sufficiente a eccitarlo.

Creed si aprì un varco con la forza, colpendo e strappando nel punto in cui doveva trovarsi il ventre di quell'obbrobrio (dato che lì si vedevano tubi sinuosi, spirali di gomma trasparente che avrebbero pouto essere soltanto intestini). Mentre filamenti vischiosi gli aderivano alle braccia, lui si spinse in avanti, spezzandoli facilmente perché non possedevano una consistenza sufficiente a resistergli. Passò dall'altra parte, non in modo pulito, come attraversando un cerchio, bensì trascinando con sé una quantità di frammenti, rimasti appiccicati alla pelle e ai vestiti. Una volta fuori si fermò di colpo, ripulendosi freneticamente, sfregandosi il viso e gli occhi, sputando particelle mucose simili a catarro.

La cosa si era accasciata sul pavimento, quasi si fosse sgonfiata, e giaceva in un mucchio caotico, una vasta proporzione del quale ansimava come se stesse riprendendo il respiro, riguadagnando forza. In breve cominciò a modellarsi di nuovo in una parvenza di forma.

Creed si precipitò all'altra porta, quella che doveva comunicare con un ufficio adiacente, tenendosi stretti i jeans con la sinistra e afferrando la maniglia con la destra.

Per favore, Signore, fa' che non sia chiusa, supplicò.

Non lo era.

Graziegraziegraziegraziegra...

Barcollò indietro come se avesse ricevuto una spinta.

Qualcuno era in piedi oltre la soglia. Semplicemente in piedi, immobile, senza sorridere né mostrarsi accigliato.

L'uomo con l'impermeabile si limitò a fissarlo.

Joe arretrò fino a ritrovarsi nel centro della stanza. La cosa strana (in questa giornata, anzi, questa settimana di strani avvenimenti) era che il locale in cui il folle si trovava appariva assolutamente e totalmente nero, quasi fosse sospeso nel vuoto, un luogo privo di luce, un luogo d'assenza. Là dentro non esisteva nulla se non lui.

Con un lamento soffocato, Creed si slanciò verso la porta d'ingresso, superando con un balzo il mucchio vischioso che andava ricostruendo arti umani, una forma femminile, benché continuasse a trasudare e ad aderire al pavimento con filamenti coagulati. Proteggendosi la testa con le braccia, si scagliò contro il vetro che costituiva la parte superiore del battente.

Ruzzolò dall'altra parte in una pioggia di frantumi, piombando a capofitto nel corridoio e rotolando in avanti fino alla parete di fronte. Senza fiato e timoroso di esser stato mortalmente ferito da una scheggia di vetro, balzò comunque in piedi e si allontanò in tutta fretta, senza la minima idea di dove si stesse dirigendo, ma rifiutando di curarsene, semplicemente deciso a frapporre la maggior distanza possibile fra sé e quell'orribile stanza.

All'estremità del corridoio notò una porta seminascosta in una nicchia sulla sinistra, un'uscita di sicurezza con una sbarra nel mezzo.

La serratura cedette alla prima spallata e Creed fu accecato dalla luce abbagliante. E improvvisamente si sentì precipitare.

 

22

 

rimase appeso alla sbarra, urlando e scalciando, sette piani di vuoto fra sé e il terreno sottostante. Non fosse stato per la cacofonia di martelli pneumatici e bulldozer, gli operai là in basso avrebbero udito i suoi richiami d'aiuto. I jeans gli erano scesi sotto le ginocchia, ma la cosa non lo imbarazzava affatto: voleva essere salvato, e non solo da una tremenda caduta.

«Aiutatemiiiiui...!»

Stava perdendo la presa, in più di un senso. Le dita cominciavano a cedere e il suo stesso peso lo spingeva giù. Dio, se non avesse avuto le mani tanto umide, le sue possibilità di salvezza sarebbero state maggiori. Stava ormai scivolando, il battente cui era aggrappato ondeggiava e persino il sole invernale, che sarebbe dovuto essere scialbo, cospirava a ferirgli la vista.

I vestiti a mezz'asta gli impedivano di sollevare una gamba per cercare qualche appiglio. Cercò di far forza sulle braccia, i muscoli doloranti per la tensione, finché non riuscì ad appoggiare il mento sulla sbarra d'acciaio, in modo che il collo sopportasse parte dello sforzo. Si rivelò un espediente inutile: la mascella iniziò a tremare, quindi a inclinarsi e slittare via. Ancora una volta fu costretto a confidare sulle dita, sempre più deboli. Cominciò a precipitare...

...quando una mano sopra di lui afferrò la sbarra, una manina magnifica, rosea, esile, che lui avrebbe immediatamente baciato se solo avesse avuto la forza di raggiungerla. Il battente cominciò a ruotare all'indentro, ma con tragica lentezza, visto che il peso e la forte brezza ne ostacolavano il movimento. A Joe non rimase altro che restare immobile (seguendo le istruzioni della voce che gli urlava nell'orecchio), quindi si concentrò per mantenere la presa, eliminando dalla mente qualsiasi ulteriore considerazione (tipo quella che potesse essere l'abominevole Laura a trascinarlo all'interno). Di colpo si rese conto che non ce l'avrebbe fatta: l'opera di salvataggio era troppo onerosa e l'angelo custode che tirava la sbarra non sufficientemente vigoroso. Il labbro inferiore gli tremò al pensiero di quanto lo aspettava. Ormai si stava reggendo con le sole punte delle dita.

Proprio allora si trovò incastrato fra la porta e il livello del pavimento, il bordo di cemento che gli premeva contro le reni. Fu sollevato per le ascelle e fece del proprio meglio per aiutare, usando le ultime riserve d'energia per darsi una spinta.

Il cemento ruvido gli graffiò le natiche quando venne trascinato dentro, ma infine fu in salvo nel corridoio, con il fiato mozzo e le guance rigate di lacrime di paura e sollievo.

Cercò di ringraziare, ma dalle sue labbra uscì un borbottio incoerente.

Cally era in ginocchio di fianco a lui e lo guardava ansiosa.

Tra un rantolo e l'altro, Creed ansimò: «Tu...?»

Lei rispose in tono brusco. «Dobbiamo andarcene da qui.» Lo tirò per le braccia e, dopo una breve esitazione, Joe si alzò a propria volta. Con movimenti incerti si allacciò finalmente i jeans, e perlomeno questo giovò al suo morale. La ragazza tentò di condurlo lungo il corridoio, ma lui oppose resistenza.

«Non intendo tornare laggiù.»

«È l'unica via d'uscita. Dobbiamo muoverci, Joe.»

«Loro sono là. Non ci vengo.»

«Va tutto bene, fidati di me. È necessario fare in fretta, però.»

Lui cercò di divincolarsi, ma Cally lo trattenne.

«Non esistono alternative», insistette.

«Con te non ne esistono mai.»

«Allora ti lascio qui, se preferisci rimanere finché loro non saranno di nuovo pronti a venirti a cercare.»

Creed la guardò con espressione interrogativa.

«Lei sta raccogliendo le forze. Non so che cosa tu le abbia fatto, ma l'hai danneggiata in qualche modo. Tuttavia non durerà a lungo.»

«Laura?»

«Se è così che si fa chiamare. Ora muoviti!»

Per quanto riluttante, lui la seguì trascinando i piedi. «E che cosa mi dici del folle?» gemette.

«Non ti toccherà. Non ancora. Per piacere, sbrigati!»

Quando si avvicinarono alla porta con il vetro rotto, Creed strisciò contro la parete opposta senza mai staccare gli occhi da quell'apertura irregolare. All'interno si scorgeva la medesima oscurità che aveva visto in precedenza, come se le tenebre dell'ufficio adiacente avessero inghiottito il locale vicino. Centimetro per centimetro, lui avanzò con la schiena al muro, mentre Cally lo teneva per il polso e lo trascinava in avanti a fatica, quasi dovesse lottare contro una corrente vertiginosa.

«Coraggio!» lo incitò, e la disperazione nella sua voce sortì quasi l'effetto voluto. Joe si scostò dalla parete, pronto a mettersi a correre, quando un ruggito proveniente dalla porta danneggiata lo inchiodò sul posto.

Era come se la stanza avesse emesso un potentissimo rutto.

Una violenta corrente d'aria fece sbattere entrambi contro il muro mentre una pioggia di oggetti si riversava nel corridoio: cartellette vuote, penne, una cascata di fermagli, un cestino per la carta straccia. Un vero e proprio bombardamento di detriti li colpì come shrapnel, tagliandoli e pungendoli, costringendoli a proteggersi il viso con le braccia. All'improvviso il ruggito cessò, lasciandoli rannicchiati contro la carta da parati a brandelli.

Dapprima parve che fosse calato il silenzio, ma subito dopo si accorsero di un suono che assomigliava a un sospiro ripetuto.

«Penso si siano esauriti», affermò Cally a bassa voce.

Il secondo boato giunse di colpo come il primo, mille volte più forte e più temibile. Era un brutale uragano che sfogò la propria rabbia su di loro, ferendo la pelle, distorcendo i tratti del viso, strappando i vestiti. Una vecchia macchina da scrivere si fracassò contro il muro a qualche centimetro dalla testa di Cally. Creed vide apparire dalle tenebre la scrivania, che si abbatté contro l'intelaiatura della porta con tale veemenza da far crollare grossi pezzi di intonaco e aprire una profonda fenditura nel legno.

Chiuse gli occhi per difenderli dal vento e dalla polvere.

Quindi udì la voce della ragazza, fievole in quella tempesta. «Muoviti, muoviti, muoviti...»

Piegati in due, si allontanarono barcollando dal cuore del vortice, inseguiti lungo il corridoio dall'ululare della burrasca, tossendo per la polvere sollevata dal turbine, sfregandosi gli occhi mentre correvano. Strisce di carta da parati staccata dal muro agitavano braccia da cartone animato al loro passaggio.

La porta scorrevole dell'ascensore era aperta ed entrambi si gettarono all'interno come se la cabina potesse offrire rifugio dal tempo inclemente. E, in effetti, fu così: la tempesta rimase all'esterno. Cally chiuse la porta e, miracolosamente, il vento si affievolì.

Tutto tornò di nuovo tranquillo.

«Andiamocene», suggerì Creed con voce tremante, accasciandosi contro la parete della cabina.

Lei rispose in tono altrettanto incerto. «Sono sfiniti. Andrà tutto bene.»

«Già, l'avevi detto anche prima. Ti dispiace se scendiamo finché la situazione ce lo permette?»

La ragazza annuì e premette il pulsante per il pianterreno.

L'ascensore precipitò come un masso.

Joe urlò aggrappandosi alle sbarre, mentre il suo corpo si sollevava come animato da volontà propria, lo stomaco gli arrivava da qualche parte sotto il mento e la testa, almeno così gli parve, rimaneva al settimo piano. Cally, parimenti terrorizzata, gli gettò le braccia al collo e si abbarbicò a lui in cerca di conforto. Creed fu assalito dal pensiero che il peso della ragazza non gli avrebbe giovato affatto al momento dell'impatto con il suolo, ma spingerla via significava perdere l'appiglio (in verità, non aveva ancora scoperto in che modo il tenersi stretto alle sbarre gli sarebbe stato d'aiuto quando la cabina si fosse schiantata). Gli venne anche in mente che un attimo prima della collisione con la terraferma avrebbe dovuto saltare: in quel modo, forse si sarebbe solo fratturato le gambe. Ma quando saltare, come individuare l'attimo giusto? Quanti sussulti aveva avvertito sinora al passaggio dell'ascensore attraverso ogni piano? Non c'era niente da fare, aveva perso il conto. Oh, Signore!

La cabina rallentò, sobbalzò e tornò a cadere a piombo; il macchinario grugnì e gemette.

I due malcapitati caddero sul pavimento quando il meccanismo, ronzando, si arrestò in modo brusco, ma pietosamente graduale. Avevano raggiunto il pianterreno.

Cally fu la prima a reagire: si guardò attorno e vide la luce del giorno brillare nell'atrio.

«Joe, siamo salvi. Stiamo bene.» Lo scrollò per le spalle.

Lui si tolse le mani dal viso e alzò gli occhi. «Siamo arrivati», constatò.

«Sì, muoviti, dobbiamo andarcene.»

«Siamo arrivati», ripeté Creed, rimanendo a bocca aperta, stupefatto.

«Coraggio!» insisté lei. Alzatasi in piedi, lo aiutò a sollevarsi, quindi rimasero addossati l'uno all'altra, reggendosi su gambe di gomma. Joe dovette assisterla nell'apertura della porta, ma non fu un problema: il suo istinto di sopravvivenza si stava riaffermando con prepotenza.

«Dobbiamo uscire di qui», la informò, come se l'idea fosse originale.

Cally scosse il capo, ma preferì tacere.

Lui schizzò fuori dall'ascensore e la ragazza lo seguì. Fu costretta a rincorrerlo per tutto il tratto di strada che li separava dalla jeep.

 

23

 

come potete immaginare, a quel punto Joe Creed ne aveva avuto abbastanza. Se lungo il tragitto verso la Suzuki avesse incontrato un poliziotto, gli avrebbe spiattellato tutto l'accaduto senza esagerazioni (alquanto superflue), menzogne o reticenze: la verità e nient'altro che la verità. Tuttavia, come recita l'adagio, non ne trovi mai uno quando ne hai bisogno e, nel caso specifico, forse era un bene, visto che probabilmente sarebbe stato rinchiuso e riempito di sedativi finché non si fosse trovato un posto libero nel manicomio più vicino. Il suo aspetto, inoltre, non avrebbe certo giovato: indossava abiti luridi e malconci (più del solito) e aveva le mani e la fronte sanguinanti dove il vetro lo aveva tagliato.

Nel complesso, non certo uno spettacolo rispettabile, e vaneggiamenti su una donna affamata di sesso che poteva modellare il corpo in ogni genere di creatura bizzarra e fantastica e stanze che erano buchi neri di vuoto assoluto e un uomo orribile che aveva rapito suo figlio e un ascensore che era precipitato come un masso per rallentare all'ultimo momento e un altro uomo che assomigliava al conte Dracula, no, non Christopher Lee, ma Nosferatu, capisce, il vampiro del film tedesco originale, e quei due gli avevano inchiodato il gatto alla porta e, beh, vedete da soli che la polizia non avrebbe potuto prenderlo seriamente. E, naturalmente, era assai dubbio che la ragazza lo appoggiasse.

Cally batté sul finestrino della jeep dalla parte del passeggero e Creed riflette bene sull'opportunità di aprirle la portiera.

«Hai bisogno di me!» urlò lei attraverso il vetro. I passanti la guardarono con compatimento e una donna dall'aspetto matronale le suggerì di non sprecare la vita con quel «sacco di merda» (e costei non conosceva neppure il nostro eroe).

Infine si decise a lasciarla salire. «Dove stai andando?» chiese immediatamente la ragazza.

«Al posto di polizia più vicino, che cosa credi? Non ne posso più di questa storia.»

«Non farlo. Dirigiti verso casa e lascia che ti spieghi. Dopo, se vorrai ancora rivolgerti alla polizia, non cercherò di fermarti.»

«Non ne avresti il modo.»

«D'accordo, non potrei. Ti domando solo di ascoltarmi.»

«Reciti sempre la stessa battuta. E guarda dove mi ha portato.»

«È l'ultima volta. Pensa a tuo figlio.»

«Ci sto pensando, ma che cosa posso fare? Ho portato le foto, le ho consegnate a quella cosa, quella donna. Non è sufficiente? Che diavolo vogliono ancora da me?»

«Quando arriveremo a casa tua, farò del mio meglio per spiegartelo. Qualsiasi altra mossa si rivelerà perdente.»

Per mezzo minuto almeno lui fissò quegli occhi azzurri. Lei appariva ansiosa e notevolmente spaventata. Ma era davvero preoccupata per lui e per Sammy? Fino a quel momento non aveva ancora scoperto il suo ruolo in tutta la faccenda, anzi, ignorava proprio tutto di lei.

«Mi racconterai cosa sta succedendo?»

«Per quanto posso. Dipenderà da te se credermi o meno.»

Lui si accigliò, ma accese il motore. «Sarà meglio che tu mi convinca, Cally, altrimenti mobiliterò la polizia, il giornale, il Papa e chiunque reputi possa servirmi. E se riterrò che mi stai prendendo in giro, ti consegnerò alla polizia, spiegando che sei l'autrice del rapimento.» Cercò di far suonare le proprie parole dure e decise, ma la venatura d'isterismo era difficile da sopprimere. Stranamente, Cally parve genuinamente dispiaciuta per lui.

Gli sfiorò il polso per un breve attimo. «Farò ciò che posso, te lo prometto.»

Creed inserì la jeep nel flusso del traffico e guidò in direzione di casa. Grin, in cima alle scale, emise un pietoso miagolio; protendendo una mano amichevole verso la gatta, Joe salì i gradini con i muscoli doloranti.

«Ehi, amica, stai bene? Sono state giornate dure per entrambi. Lascia che ti dia un'occhiata.»

Il felino arretrò.

«Coraggio, sono io! Non preoccuparti, prenderò i bastardi che ti hanno inchiodato la coda. Nessuno può permettersi di fare lo stronzo con noi, giusto?»

Grin si fece avanti e annusò con cautela la mano del padrone. Il fotografo si sedette sull'ultimo scalino e si sistemò il gatto in grembo in modo da potere esaminare la coda ferita: era incrostata di sangue e sembrava avere acquisito una strana curvatura. «Penso tu stia bene, cara mia. Non sei comunque mai stata il più bell'esemplare felino mai visto, quindi questo non farà una gran differenza.» Le accarezzò il pelo e Cally, appena giunta in cima alle scale, si accorse che aveva gli occhi lucidi.

«Se hanno fatto del male a Sam...» dichiarò lui con rabbia.

«Ti prendo qualcosa da bere.»

«Sì, ne ho bisogno.» L'ira svanita di colpo, Joe si accasciò.

La ragazza lo aggirò per dirigersi in cucina, dove gli versò una dose abbondante di brandy. Lui comparve sulla soglia e si sedette al tavolo. «Mi sembra di aver già vissuto questa scena», affermò in tono incolore.

Cally gli porse il bicchiere. «Spostiamoci in bagno, in modo che possa ripulirti un po'.»

«Ho bisogno di una sigaretta, ma non di quelle che tu hai alterato.» Creed ne pescò una dal taschino e armeggiò a fatica per ridarle una forma decente; accesala, si alzò dal tavolo, si sfilò il cappotto e si avviò verso il bagno, seguito dalla ragazza.

«Se non ti spiace dovrei prima fare pipì.» Ciò detto, le chiuse la porta in faccia.

Dopo poco udì scrosciare l'acqua del water e, subito dopo, il battente si riaprì.

«Sono un disastro», dichiarò Creed.

Cally annuì. «Però non sei ferito gravemente.»

«Puoi scommetterci.» Lui si sedette sul bordo della vasca per consentirle l'accesso al lavabo.

La ragazza si esaminò allo specchio e fece una smorfia. «Nemmeno io ho un gran bell'aspetto.»

«È solo sporco. Il ferito che cammina sono io.»

Lei si pulì il viso con l'asciugamano umido. «Dovresti provarci anche tu. Sei lurido.»

Riempì d'acqua il lavabo e gli porse il sapone. Dopo essersi tolto la maglietta, Joe eseguì, premendo l'asciugamano sugli occhi e la fronte.

«Hai una boccetta di tintura di iodio?» chiese Cally.

Lui scosse la testa. «Forse c'è dell'alcol in quell'armadietto. Vacci piano, però.»

«Garze?»

«No.»

«Ne faremo a meno.»

Mentre Creed si rimetteva la maglietta, lei inumidì la spugna con il disinfettante, passandola poi sui tagli. «Stai fermo, non fare il bambino», lo rimproverò.

Joe borbottò qualcosa di inintelliggibile. «Sopravviverai», gli assicurò la ragazza.

«Suppongo di doverti essere grato per avermi salvato.» In realtà, non lo sembrava affatto. «Era una bella caduta.»

«Sono contenta di essere arrivata in tempo.»

Lui strinse le labbra risentito. «Ho detto che suppongo di doverti essere grato. La verità, però, è che tu sei coinvolta in questa storia. Non so che cosa hai in mente, che cosa ti lega a quei folli, ma immagino sia giunto il momento di scoprirlo.»

«Posso solo spiegarti parte della faccenda.»

«No, voglio sapere tutto.»

Lei uscì dalla stanza.

Creed la raggiunse in corridoio e la afferrò per le spalle, costringendola a voltarsi. Sollevò un pugno a pochi centimetri dalla sua faccia, i muscoli del braccio tremanti per la tensione. La ragazza lo guardò freddamente.

«Non rifarmi la sceneggiata del macho, per favore.»

Lui si sentì completamente prosciugato, fisicamente e moralmente, e quasi crollò addosso a lei. «Ti prego, Cally», mormorò con voce affranta. «Aiutami, per piacere.»

Lei lo prese per mano e lo condusse in soggiorno. «Siediti e ascolta. Cerca di non interrompermi.»

Creed aprì la bocca per dire qualcosa, ma la ragazza lo zittì con un cenno. «Limitati ad ascoltare.»

Lui si sedette, ancora furioso, ma soprattutto frustrato: non gli rimaneva altro da fare, la vita di Sammy era nelle loro mani. Osservò Cally dirigersi alla finestra.

La ragazza guardò fuori, immersa nelle proprie riflessioni. Quanto poteva rivelargli, e fino a che punto sarebbe stata creduta? Lui accettava ciò che aveva visto quel giorno, oppure era convinto di aver sofferto di allucinazioni, di esser stato drogato, ipnotizzato o semplicemente ingannato? La fredda luce del giorno portava invariabilmente con sé una propria logica. Come cominciare?

«Li hai messi in agitazione, Joe.»

«Credo tu me lo abbia già detto. Ma di chi parli?» Le sue parole mancavano ormai di energia.

«Un certo gruppo di persone. Uno di loro è l'uomo che hai fotografato al cimitero.»

«Il pervertito che assomiglia a Nicholas Mallik?»

Lei continuò a guardare fuori dalla finestra. «È Nicholas Mallik.»

«Sai, temevo questo genere di rivelazione. Ho bisogno del resto di quel brandy.»

«Te lo prendo io.»

Creed la attese dove si trovava, troppo esausto per muoversi; era tutto dolorante e le ferite gli bruciavano. Persino la fronte gli pulsava nel punto in cui aveva battuto cadendo dalle scale qualche giorno prima. La cosa peggiore, tuttavia, era lo stato confusionale in cui versava ormai da tempo.

Cally tornò e gli porse il bicchiere, che lui esaminò alla luce prima di accostare alle labbra.

«Non ci ho aggiunto niente», mise in chiaro la ragazza.

Joe scrollò le spalle. «A questo punto non me ne frega nulla. Per quanto ne so, potresti avermi già somministrato una dose di droga sufficiente per un paio di giorni. Come si potrebbe spiegare altrimenti ciò che ho visto oggi?» Bevve un lungo sorso di liquore. «Vai avanti», la invitò. «Non ti interromperò più.»

«Mi credi per quanto riguarda Mallik?»

«Ti ripeto che non intendo interromperti.»

Lei si sedette al capo opposto del divano. «Nessuno deve sapere che è ancora vivo.»

«È comprensibile. Dopotutto, dovrebbe essere stato giustiziato mezzo secolo fa. Che cos'è accaduto, hanno impiccato la persona sbagliata?»

Cally scosse la testa.

«Oh, merda, adesso telefono alla polizia. Ne ho abbastanza di queste tergiversazioni.» Accennò ad alzarsi, ma lei si sporse per mettergli una mano sul braccio.

«Hai detto che avresti ascoltato.»

«Sì, ma tu dovevi spiegarmi tutto.»

«Mi sto sforzando, ma non è semplice.»

«Prova con la verità.»

«Tanto non mi crederai comunque.»

«È possibile, visto che non mi piace passare per cretino.» Si liberò il braccio con uno strattone. «Se non avessi bisogno di te per riavere Sammy, ti ammazzerei di botte seduta stante. Voglio che tu mi spieghi chi sono queste persone e che cosa vogliono da me.»

Una breve esitazione, uno sbattere di palpebre, infine la decisione. Cally lo guardò dritto negli occhi. «Si definiscono gli Angeli...»

«Oh, Cristo, lo sapevo!» Lui picchiò il pugno sul divano.

«La solita, demente setta religiosa! Chi sono, adoratori del diavolo? Seguaci di Scientology? Avventisti del Settimo Giorno? Figli di Moon? Che cosa sono esattamente?»

«Gli Angeli Caduti.»

«Gli Angeli...? Non farmi questo!» Prosciugò il bicchiere e lo sbatté sul tavolino. «Sapevo che quel Mallik era stato legato ad Aleister Crowley, il pazzoide seguace del demonio, ma gli Angeli Caduti? Che cosa ha fatto, ha dato origine a un nuovo culto quando si è staccato da Crowley? Sta ancora andando forte, sta... mio Dio, mutilavano i bambini! Sammy...»

«Calmati, Joe», lo interruppe bruscamente Cally. «Controllati e dammi ascolto. Tuo figlio sta bene. Questa gente è vecchia...»

«La donna che ho visto oggi non è affatto vecchia.»

«Laura?» Senza alcun commento, lei si sporse a sfiorargli la fronte. «Sei molto stanco, Joe.»

Lui balzò in piedi di scatto. «Non ricominciare con questa storia! Mi hai già mandato ieri nel mondo dei sogni, quindi non riprovare con simili stronzate!»

«Eri esausto.»

«Già, ma sei stata tu a convincermene.» Si spostò all'altro capo della stanza. «Adesso smettila, non voglio neppure che tu mi guardi! Devi soltanto parlarmi di questi fottutissimi Angeli Caduti.»

«Va bene, ma per capire quanto sto per dirti, devi accettare il fatto che loro sono dei credenti.»

«In che cosa, esattamente?»

«Nell'interrelazione fra lo spirito e la materia.» La ragazza tacque, in attesa di una reazione. Creed non ne diede il minimo cenno e lei riprese come se fosse stata sollevata un'obiezione. «Vedi, i nostri normali sensi non ci permettono di percepire certe cose, alcune forze. Non riusciamo a scorgere i raggi ultravioletti, per esempio, ma adesso possediamo strumenti che ce li rivelano. Accade lo stesso con le frequenze sonore estreme. Il fatto che non vediamo o non udiamo queste cose non significa che esse non esistano. Sfortunatamente, al momento non disponiamo ancora degli strumenti scientifici in grado di dimostrare livelli differenti di esistenza.» Si sporse in avanti come per sottolineare il punto. «Eppure milioni di persone credono in un Essere supremo, ma incorporeo che chiamano Dio.»

Su questo, lui non poté dissentire.

«Dunque perché non credere in sotto-esseri spirituali?»

Il nostro eroe inarcò le sopracciglia.

«Demoni», dichiarò lei.

Un gemito da parte di Creed.

«Dammi retta», lo esortò Cally. «Apri la mente e ascoltami. Ricorda che sono loro a crederlo.»

Con un gesto rassegnato, lui la invitò a proseguire.

«Esistono molti tipi di esseri del genere: demoni, diavoli, spiriti maligni, chiamali come vuoi. Alcuni non sono altro che vapori eterei, mentre molti possiedono più forza, più consistenza. Ed esistono tante categorie, anche se adesso non intendo entrare nei dettagli: so che, per quanto ti riguarda, sto spingendomi oltre i limiti della credibilità. Aggiungo soltanto che queste suddivisioni si basano sulla gerarchla degli angeli o, per essere più specifici, sulla gerarchia degli Angeli Caduti.»

Fu a quel punto che Joe tornò a sedersi.

«Durante il Medioevo e il Rinascimento, gli europei perfezionarono l'arte dell'evocazione dei demoni a livelli mai raggiunti, probabilmente perché pensavano che la Chiesa li avrebbe perseguitati se le cose fossero sfuggite loro di mano o che le forze da loro stessi scatenate potessero prendere il sopravvento se male indirizzate. Sfortunatamente, la Chiesa dell'epoca tendeva a essere corrotta quanto loro e li lasciò fare, con il risultato che ne seguirono fame, pestilenze, malattie e guerre. In una parola sola, distruzione.»

Fuori del soggiorno il telefono squillò, ma Creed non si mosse; altri due squilli e si attivò la segreteria telefonica nell'ufficio al piano inferiore.

«Nicholas Mallik sapeva come controllare i poteri ultraterreni», proseguì Cally. «Era un segreto che rivelò ad Aleister Crowley negli anni Venti, a Parigi.»

«Prima che si separassero?»

«Lo sapevi?»

«So soltanto che a un certo punto le loro strade si sono divise.»

«È stato più di questo. Crowley e Mallik presero in affitto un piccolo albergo sulla Rive Gauche per un intero fine settimana. Asportarono da un grande locale all'ultimo piano mobili, ornamenti, tutto ciò che poteva essere rimosso, e si chiusero dentro. MacAleister, il figlio e principale discepolo di Crowley, rimase con loro, mentre gli altri membri del culto ricevettero istruzioni di non salire e non entrare nella stanza fino al giorno seguente, qualsiasi cosa avessero udito.

«E in effetti udirono parecchio, ma obbedirono agli ordini. Il mattino successivo, dalla stanza nessuno rispondeva ai loro richiami, quindi furono costretti a forzare la serratura. Trovarono il giovane MacAleister morto, ma senza alcun segno di lesioni, e Crowley steso sul pavimento, nudo e ridotto a un rottame farfugliante. Nessun segno di Nicholas Mallik.

«Aleister Crowley trascorse quattro mesi in un manicomio e non fu mai più lo stesso uomo. Inoltre si rifiutò sempre di rivelare quanto era accaduto quella notte.»

«E Mallik? Che ne fu di lui?»

«Ricomparve a Londra un anno dopo ed evitò accuratamente di parlare dell'episodio. Lui e Crowley non si rividero più.»

Il telefono squillò, e ancora un volta Creed lasciò rispondere la segreteria.

«Dato che eri al corrente dei rapporti fra i due, posso supporre che tu sappia qualcosa anche delle attività londinesi di Mallik?»

«Ho scoperto che lui e i suoi gioviali seguaci assassinavano e smembravano la gente, soprattutto i bambini. So anche che è stato arrestato e impiccato nel 1939. Ora, però, tu mi stai fornendo un'altra versione, ossia che non è stato affatto giustiziato e che è ancora in giro in tutta la sua bruttezza. Per cosa mi hai preso, Cally? Per un completo idiota?» Grugnì di disgusto. «Anche se fosse miracolosamente riuscito a scampare al patibolo, se i giornali dell'epoca avessero accettato di stampare menzogne o fossero stati ingannati, anche se avessero addirittura arrestato l'uomo sbagliato — un sosia che ha taciuto persino con il cappio attorno al collo — oggigiorno Mallik sarebbe troppo vecchio per pulirsi il sedere, figurarsi poi per commettere indecenze nei cimiteri o aggirarsi nei parchi nel cuore della notte. L'uomo che ho visto non era così vecchio.»

«Oh, lo è invece! E a quei tempi aveva amici in alto loco.»

«Abbastanza in alto per impedire la sua esecuzione? Persino il re non avrebbe potuto disporre la liberazione della Bestia di Belgravia! Devi proprio credermi stupido.»

«Ti prego di convincertene, lui e i suoi accoliti possiedono incredibili poteri!»

«Sono solo dei grandi illusionisti.»

A quel punto, la logica stava già suggerendo a Creed che non aveva visto nulla di reale.

«Sono molto più di questo. Possono cambiare forma, Joe. Possono trasformarsi in esseri grotteschi, crescere o rimpicciolirsi. Sono in grado di creare fantasmi dal sangue mestruale o dallo sperma...»

La ragazza parve non notare che lui era improvvisamente impallidito (anche più di prima, per l'esattezza).

«Questa gente può distruggere la volontà, indebolire lo spirito, attingendo alla tua aura...»

Respirando, comprese di colpo Creed. Respirando la sua aura, indebolendo il suo spirito! Ecco che cosa aveva fatto quella donna, Laura! Aspetta un minuto! Ci stava cascando come un maledetto babbeo. Ma la stanza che era soltanto un vuoto nero; il vento scaturito dall'ufficio con l'intensità di un tornado, sufficientemente forte da sollevare una scrivania; l'ascensore che era precipitato per poi fermarsi quasi possedesse una volontà propria? Tutto assurdo, ma era accaduto. Non poteva essersi ingannato, vero?

«Sono vecchi, Joe, e non dispongono più di molta energia. Ora tu li hai risvegliati e credo che improvvisamente si stiano divertendo ancora una volta. Dopo così tanti anni stanno cominciando a rivivere. Ben presto, però, torneranno a indebolirsi e la frustrazione li renderà ancor più pericolosi.»

«Lily Neverless era una di loro? Faceva forse parte del culto? È questo il nodo della questione? Hanno paura che io li denunci pubblicamente come una setta satanica che si dedica a cerimonie oscene sulle tombe dei loro morti? Se la situazione non fosse ormai sfuggita di mano, sarebbe ridicola! Mi hai sentito? Un maledetto, clamoroso scherzo!» In un angolo della mente, qualcosa lo stava tormentando. «Ma che cosa sono? Un gruppetto isterico di massoni estremisti? Oppure sono davvero adoratori del diavolo che danzano nudi attorno ai falò nel cuore della notte ed evocano il vecchio Nicholas per occuparsi delle loro sporche faccende? Sai, mi avevi quasi... aspetta, che cosa mi hai detto l'altra notte prima che crollassi addormentato?» In un lampo, gli tornò alla memoria. «Mi hai confessato di essere la nipote di Lily! Oh, Dio, ecco il legame!»

La voce di Cally, a differenza dalla sua, suonò ferma. «Non devi più immischiarti.»

Al suono del campanello la ragazza si alzò in fretta. «Chi è?» domandò.

«Come diavolo faccio a saperlo? Basta ignorarlo, così se ne andranno.»

Qualcuno bussò con violenza alla porta, poi il campanello suonò di nuovo. Una voce familiare cominciò infine a chiamare Samuel dalla strada.

«Oh, no...» mormorò Creed.

«Chi è? «ripeté Cally.

Lui chiuse gli occhi per un attimo. «È la mia ex moglie, l'arpia. La madre di Sammy.»

 

24

 

entra in scena Evelyn.

Il piano di Creed consisteva nel rimanere in silenzio finché lei non si fosse stancata di schiamazzare e di bussare per andarsene a terrorizzare qualche altro povero disgraziato. Ma la vita non è mai tanto compiacente, vero?

Udì una chiave girare nella serratura del portone e un rumore di passi nell'ingresso. Poi: «Saaamuuuueeel!»

Il battente si chiuse con violenza e i passi salirono le scale con decisione.

Joe si mise una mano sugli occhi come se fosse stato assalito da un'improvvisa emicrania. Evelyn aveva due chiavi, una per Sammy e l'altra per sé. No, probabilmente ne possedeva una mezza dozzina da distribuire ad amici e parenti.

Cally era allarmata.

Trascinatosi in piedi, lui si diresse alla porta in tempo per vedere Evelyn in cima alle scale. L'ex moglie sembrava agitata, in evidente stato di tensione, ma bisognava ammettere che aveva ancora un bell'aspetto. Non fosse stato per la lingua al vetriolo e il carattere acido, sarebbe stata eminentemente scopabile.

«Dov'è?» esordì lei con durezza senza neppure sostare a riprendere fiato.

«Chi?» Fu quanto di meglio riuscì a escogitare.

Evelyn alzò gli occhi al cielo e lo spinse di lato, bloccandosi di colpo nel notare Cally in soggiorno. Prima di rivolgersi nuovamente all'ex marito, la esaminò da capo a piedi con sguardo gelido e duro. «Spiacente di interrompere la tua ora con la sgualdrina, ma sono venuta per riportare Samuel a casa. Non so come mi sia venuto in mente di lasciarlo venire qui. Dio solo sa di che cosa è stato testimone in questo appartamento.» Fissò con astio Cally come se lei fosse un esempio di ciò che si era svolto da quelle parti.

«Ecco, Sammy non è qui.» Creed si sforzò al massimo per mantenere lo sguardo interamente su Evelyn.

«Perché mi guardi come uno zombie? Hai fatto il pieno di qualcosa? Santo cielo, a quest'ora del giorno! Sapevo di aver tardato anche troppo nel venire.»

«Non essere sciocca, Ev...»

«E chi è quella?» Accennò con la testa a Cally. «No, non dirmelo, preferisco non saperlo. Voglio solo mio figlio, immediatamente. Osserva le mie labbra, Joe, immediatamente.»

«Meglio che vada», disse Cally, avviandosi verso la porta.

«No! Dobbiamo ancora parlare.» Lui le bloccò la strada.

«Sto aspettando», sbottò Evelyn in tono malevolo.

Il telefono squillò.

«Devo rispondere.» Creed si mosse come per uscire dalla stanza.

«Rimani», gli intimò l'ex moglie. «Questo è più importante. Te lo ripeto un'ultima volta prima di infuriarmi sul serio: dov'è Samuel?»

Gli squilli furono zittiti dalla segreteria telefonica.

«Scusami», mormorò Cally passando di fianco a Joe.

«No, aspetta», esclamò lui prendendola per un braccio.

«Joseph! !» Evelyn batté il piede per terra.

«Farò ciò che posso e ti chiamerò più tardi.» Liberatasi dalla stretta, la ragazza scomparve giù per le scale.

«Cally!» Creed tentò di seguirla, ma fu afferrato a propria volta. Le dita di Evelyn erano come una morsa.

«Sto perdendo la pazienza», lo avvertì con voce calma, ma micidiale.

Sul portone, Cally si girò un'ultima volta a guardarlo. «Rimani nelle vicinanze del telefono», gli suggerì prima di uscire.

Joe aprì la bocca per chiamarla, ma la richiuse quando le dita dell'ex moglie lo strinsero con violenza. A quel punto si rese conto di avere due alternative: svenire o raccontare bugie. Svenire, decise, gli avrebbe concesso soltanto un breve respiro e, in definitiva, lo avrebbe cacciato in guai anche peggiori (perché sei svenuto? Cos'hai fatto? Cos'è accaduto a Samuel?). No, mentire era molto più semplice.

«Sammy sta partecipando a una gita scolastica», dichiarò.

Di fronte a una risposta del genere, lei rimase interdetta. Momentaneamente, perlomeno. Lo lasciò andare di colpo. «Una gita scolastica», ripeté lentamente. «Ma non sta frequentando la scuola da quando abita con te.»

«No, non è con la sua scuola.» Oh, merda, merda, perché diavolo aveva trovato una scusa simile? «Non vuoi sederti? Gradiresti una tazza di tè? Hai fatto molta strada, devi essere assetata. Preferisci un gin tonic? Scommetto che ti farebbe bene.»

«Piantala con le scemenze. Parlami piuttosto di questa gita.»

«Gesù, sono sfinito, lo sai? Badare a un bambino di dieci anni ti prosciuga di ogni energia.»

«Che cosa ne vuoi sapere tu? Ce l'hai solo da un paio di giorni. Allora, con che scuola è partito e quando torna?»

«Non stasera», si affrettò a rispondere lui. «Oh, no, non stasera. Trascorre una notte fuori. Non vedeva l'ora di andare.»

«Samuel? Che non vede l'ora di fare una cosa simile? Non ci credo.»

«Ti sorprenderebbe constatare quanto sia cambiato negli ultimi giorni, sul serio. È uscito dal guscio, per così dire. Coraggio, sediamoci.»

Lei si lasciò condurre in soggiorno, dove l'ex marito la sospinse praticamente in poltrona. «Francamente sei tu quello che ha l'aria di aver bisogno di sedersi. Ma che cosa ti sta capitando? No, per favore, non voglio dettagli sulla tua vita. L'ho messo in chiaro anni fa.»

Creed sprofondò sul divano. I lunghi capelli rosso scuro di Evelyn incorniciavano un viso un tempo carino e ora maturato in attraente, anche se un po' bisbetico. I nervi permanentemente tesi le avevano inoltre lievemente raggrinzito il collo, creando linee che nessuna crema avrebbe mai cancellato. Indossava un sobrio abito marrone con stivali al ginocchio; o il suo seno si era afflosciato oppure aveva cominciato a portare reggiseni che appiattivano invece di evidenziare. Riportò rapidamente la propria attenzione sul problema in discussione. «Hai un aspetto sp...»

«Ti ho detto di piantarla con le scemenze. Che scuola?»

«Ecco, non si tratta proprio di una scuola. È un gruppo di scout del quartiere.»

«I Boy Scout? Samuel si è aggregato a loro? Il mio Samuel?»

«Non sto parlando di una vera e propria iscrizione. Ho pensato che potesse fargli piacere provare, solo per una volta. Passerà una notte in campeggio, forse anche di più, dipende da come si trova.»

«E lui è stato d'accordo?»

«Non stava nella pelle.»

Lei lo osservò con sospetto. «Che diavolo ne sai tu dei Boy Scout e delle scuole del quartiere?»

«Gli Scout della scuola qui in zona sono sempre in giro a raccogliere oggetti per beneficenza, a sbrigare lavoretti per qualche soldo. Sono ragazzini simpatici.»

«E che cosa indossava Samuel per questa grande avventura fuori porta? Non lo avrai mandato con la divisa scolastica, spero.»

«Stai scherzando? Per farlo morire di raffreddore? Assolutamente no. Gli ho comprato un intero equipaggiamento: stivali, pantaloni pesanti, camicia di lana e giacca a vento. Sembrava proprio un esploratore, te lo garantisco.» Creed sorrise al centro della stanza come se il figlio fosse là in piedi, vestito di tutto punto e pronto per andare. «Non l'ho mai visto tanto entusiasta.»

«Samuel?»

Lui annuì. «Certo. Ho pensato che qualche tempo all'aria aperta e un po' di esercizio fisico non potessero fargli altro che bene.»

«Dove sono andati? In che località selvaggia hanno piantato le tende? Non troppo lontano da Londra, mi auguro.»

«Dove? Dove? Nella foresta di Epping. Non è affatto distante.»

«Come si chiama la scuola?»

«È quella a due isolati da qui.» Oh, merda, ci era passato davanti un sacco di volte. «St... St Andrew's. In effetti, sono molto fiero della mia idea.»

La donna lo studiò per trenta secondi buoni prima di aggiungere altro. Quindi: «Bene, suppongo di poter portare a casa la sua divisa per lavarla. Ti dispiace darmela?»

«Uh... Oh, ci ho già pensato io. L'ho consegnata alla tintoria stamattina dopo averlo accompagnato al punto di ritrovo. Mi ha fatto promettere di telefonarti, fra parentesi, per farti sapere quanto si diverte. Gli manchi, naturalmente.»

«Forse dovrei andare a vedere il campeggio. Probabilmente lui pensa che io sia ancora arrabbiata. Potrei prendere un taxi o farmi dare un passaggio da te. È passato tanto tempo dall'ultima volta che abbiamo fatto una gita insieme.»

Per un attimo, in verità non molto irresistibile, Creed fu tentato di raccontare tutto, di confessare che loro figlio era stato rapito da un gruppo di folli che adoravano il demonio, in grado di ipnotizzarti per indurre visioni impossibili e di spaventarti al punto di farti schizzare il cuore in gola. Avrebbe potuto confidarsi con Evelyn, ma ciò avrebbe significato (a parte la propria castrazione) un attacco isterico, accuse, la polizia e con ogni probabilità la morte del bambino. Non valeva il rischio (né la sofferenza).

«Dubito che sia una buona idea. Immagina come si sentirebbe di fronte agli altri ragazzini se mamma e papà piombassero là a vedere se il loro cocco sta bene. Morirebbe di vergogna.»

Lei riflette a lungo. «Forse hai ragione», ammise infine con riluttanza. «Detesto il pensiero che tutti gli altri possano giudicarlo un moccioso viziato. Mi è mancato così tanto, però. Avevo creduto che qualche giorno senza di lui mi desse un po' di respiro, e Dio sa se non ne avevo bisogno. Ma è mio figlio ed è tutto quello che ho.»

In quel momento Evelyn parve così sola e sconsolata che lui fu quasi tentato di abbracciarla, quasi tentato di portarsela a letto seduta stante. Era ancora una donna piacente, seni flaccidi o meno.

Lei lesse in quello sguardo e dichiarò: «Non pensarci neppure!» Poi si alzò dalla poltrona, di nuovo dura e bisbetica. «Voglio Samuel a casa domani sera, Boy Scout o no. Campeggiare con un freddo simile gli farà tornare la bronchite e non gioisco alla prospettiva di assistere un invalido per le prossime settimane. Lasciarlo venire qui è stata davvero una cattiva idea. Sa il cielo quali pessime abitudini ha già contratto.»

«Sei stata tu a mandarlo, Evelyn.»

«Certo, hai assolutamente ragione. Se penso che era l'ultimo posto in cui lui voleva andare. Suppongo, però, che mi sia concesso almeno uno sbaglio. Vallo a prendere domani e portalo dritto a casa.»

Se starà ancora bene. Fu un pensiero che preferì non pronunciare ad alta voce.

«Qualcosa non va? Hai barcollato come se stessi per svenire.» L'espressione della donna rifletteva curiosità, non preoccupazione.

«Stanchezza, ecco tutto. Troppe notti al freddo sui marciapiedi.»

«Sembra che una vittima dei tuoi scatti ti abbia dato più di quanto ti aspettavi. Che è successo, ti hanno gettato da una finestra? E quel livido sulla fronte?» Parve soprattutto seccata. «Non è ora che tu prenda in considerazione un cambiamento di carriera? Qualcosa di più adulto, magari? A essere franchi, non sei in gran forma.»

«Già, ci penso tutti i giorni. Sarebbe bello essere un contabile. Oppure potrei vendere doppi vetri, che ne dici? Hai sempre voluto una professione rispettabile per me, vero Evelyn?»

«Desideravo solo che ti assumessi le tue responsabilità, ecco tutto. Il guaio era — ed è tuttora — che non sei mai riuscito a pensare ad altro se non a ciò che piace a Joe Creed.»

«Non è vero.»

«Ne sei convinto? E dov'erano tutti i sacrifici che avresti dovuto fare per tuo figlio? Chiediti quando mai hai permesso che il benessere di Samuel — o il mio, se per questo — interferisse con il tuo stile di vita.»

«Portavo a casa i soldi.»

Lei scoppiò in una risata che equivaleva a uno schiaffo. «Credi davvero che questo bastasse? Mio Dio, nessuna meraviglia se non siamo durati a lungo. Hai mai portato Samuel al parco a giocare o a mostrargli le anatre? Quando mai ti sei seduto accanto a lui a raccontargli favole? Quando gli hai pulito il sederino, per carità del cielo? Ecco cosa significa essere padre, dedicarsi a piccoli gesti talvolta sgradevoli, ma per lo più magnifici. Momenti che dimostrano il tuo affetto.»

«Non sono dell'umore per una predica, Evelyn.»

«E quando mai hai fatto qualcosa del genere per me?»

«Pulirti il sedere?»

«Sai a che cosa mi riferisco. Sai esattamente di che cosa sto parlando, razza di bastardo egoista.»

«Ho fatto una quantità di cose.»

«Un giorno o l'altro, prova a scrivere un elenco. Vedi se riesci a riempire il retro di un francobollo.»

Lui si passò una mano fra i capelli, guardando accigliato il pavimento. «Evelyn, sono molto occupato.»

«Naturalmente. Quando mai non lo sei?» La donna si avviò a grandi passi verso la porta. «Ho una mezza idea di andare subito a prendere Samuel, in modo che non abbia ulteriori contatti con te, ma no, preferisco non metterlo in imbarazzo di fronte ai suoi nuovi amici. Però lo voglio a casa domani, hai capito? Gli concederò ancora un giorno di vacanza da scuola, poi tornerà...»

«Mi ha detto di esser stato sospeso per una settimana.»

Lei si bloccò sulla soglia e girò su se stessa. «Lo avevo avvertito di non confessartelo. Oh, ma del resto vedo che siete ormai amici per la pelle. Beh, non mi sorprende, non mi sorprende affatto, visto che entrambi mentite, rubate e fate i prepotenti. Siete della medesima razza, prodotti con lo stesso stampo. Ti prometto, però, che Samuel cambierà. Non permetterò che diventi come suo padre. Mi hai capito? Non lo permetterò!»

Creed udì aprirsi il portone e, immediatamente dopo, il suono di voci smorzate. Evelyn tornò a fare regnare il terrore sulla rampa di scale. «C'è un'altra sgualdrina qui fuori! Ti è rimasta energia sufficiente?»

Il battente si chiuse con violenza.

 

25

 

questa volta entra in scena Prunella, per niente somigliante a una sgualdrina.

«Joe, posso salire?»

«Che cosa ti fa credere che abbia voce in capitolo?» Lui si trasferì in cucina e armeggiò con le bottiglie degli alcolici, ignorando il brandy lasciato sul tavolo da Cally.

«Joe?»

«Sono qui, in cerca della cicuta.»

«Brutta giornata?» Lei si fermò sulla soglia, quasi fosse troppo timida per entrare.

«Finora sì. Ma è assai probabile che peggiori. Vuoi unirti a me?» Sollevò un bicchiere nella sua direzione.

«Cicuta?»

«O whisky. Anche gin, se preferisci.»

«No, credo di no. Perché non hai risposto alle mie telefonate?»

«Mi hai chiamato?»

«Da due ore a questa parte. Ho lasciato più di un messaggio sulla segreteria telefonica. Anche Freddy Squires ti ha cercato.»

«Qualche motivo particolare?» Creed si versò una dose abbondante di Bushmills.

«Freddy? Solo perché oggi non ti sei fatto vivo e ha un incarico per te.»

«Non sono un impiegato. Non devo presentarmi tutti i giorni.»

«Io sono perfettamente d'accordo, ma è Freddy che ha bisogno di sentirselo ricordare. Hai avuto un incidente?» La ragazza entrò in cucina, gli occhi sbarrati nel rendersi conto del suo stato. «Ogni volta che ti vedo hai un aspetto peggiore.»

Lui agitò una mano con noncuranza. «Se te lo raccontassi non mi crederesti. Hai una sigaretta?»

«Non fumo.»

«Certo, non sei il tipo.» Prese la scatola del tabacco e lo depose sul tavolo assieme al whisky. «Dunque sei qui per accrescere le mie disgrazie?»

«Mi dispiace se hai dei problemi, Joe.»

Creed la guardò sorpreso. Gesù, lo aveva detto come se davvero le importasse.

Prunella si sedette di fronte a lui. «La donna che è appena uscita fa parte delle tue disgrazie?»

«L'arpia dai capelli rossi? Sì, lei è una, ma la meno grave.» Si arrotolò una sigaretta e leccò la cartina. «Perché sei qui, Prunella?»

«Sembra che abbiamo perso il nostro re del pettegolezzo mondano.»

«Blythe?»

«È l'unico di cui disponiamo. Sfortunatamente il nostro ulcerato direttore non apprezza l'idea che si sia smarrito. Parlando seriamente, però, non è da Antony sparire così, senza farlo sapere a nessuno. Di solito telefona al giornale tre o quattro volte al giorno per dare notizie o per verificare come vanno le cose.»

«E che cosa ti fa pensare che io sappia dove si trova?»

«Poteva darsi che tu lo avessi incontrato nel corso dei tuoi giri per la città. Tra l'altro, l'ultima ricerca cui si era dedicato riguardava Lily Neverless, e visto che tu eri al funerale qualche giorno fa; Joe, qualcosa non va? Perché mi fissi così? Abbiamo solo creduto, molto stupidamente, lo ammetto, che lavoraste assieme su una storia. Dato che sono il tirapiedi generale, mi è stato affidato l'incarico di cercare di mettermi in contatto con Antony o con te. Nel suo caso non sono approdata a nulla, quindi, quando non hai risposto alle mie chiamate, sono saltata su un taxi per venire qui. In verità, sono passata prima da casa di Antony», si affrettò ad aggiungere, per poi arrossire senza alcun motivo apparente. (Se Creed non fosse stato tanto preoccupato si sarebbe accorto che Prunella gongolava nel trovarsi all'interno del suo «covo d'iniquità». Questi tipi tranquilli non cessano mai di stupire.)

«Cosa stava cercando esattamente Blythe?»

Lei rimase perplessa di fronte alla gravita del suo tono. «Non so, qualcosa che riguardava il testamento di Lily Neverless. A quanto pare ha chiesto ai legali del giornale di scoprire chi fossero i suoi avvocati.»

«E loro ci sono riusciti?»

«Certo. A quel punto ho telefonato allo studio legale dell'attrice, dove mi hanno confermato di aver parlato con Antony questa mattina circa le disposizioni della loro cliente in merito al patrimonio. Molto onestamente, non capisco il motivo di tanta agitazione. Quando ne avrà voglia, si rifarà vivo.»

Ma certo, Prunella aveva ragione: perché preoccuparsi se Blythe si era dato alla macchia? E se anche non aveva telefonato come il solito, per quale motivo farne un dramma? Probabilmente era sdraiato sotto qualche tavolo a smaltire la sbornia dopo un paio di cocktail champagne di troppo. Okay, forse non aveva la fama di grande bevitore, ma, che diavolo, per una volta poteva anche essersi dato alla pazza gioia. Magari stava addirittura giacendo altrove con un maschio o una femmina di suo gradimento. Chi poteva dirlo? Chi se ne fregava?

Prunella interruppe le sue riflessioni. «Non penso che quella roba ti faccia bene.»

«Eh?»

«Lo scotch. Stai diventando sempre più pallido.»

«È whisky, e mi sta giovando moltissimo. Quando mi arriva nello stomaco lo sento come qualcosa di reale, e oggi è l'unica cosa che mi sembri tale.»

«Sei nei guai, Joe? Posso esserti d'aiuto in qualche modo?»

Creed avrebbe riso, se solo fosse stato dell'umore adatto.

«Verresti a letto con me, Prunella?»

Non riusciva a crederci, però lo aveva detto. Ma che diavolo non andava in lui? Suo figlio stava correndo un pericolo terribile e lui era lì, eccitato come un caprone. E non si trattava solo di Prunella: poco fa aveva avuto voglia anche di Evelyn, Evelyn l'Intoccabile, Cristo santo! Né si era limitato a quelle due. Quando Cally gli aveva medicato le ferite in bagno, si era sentito prendere dalla lussuria, soffocata solo da un misto di sfinimento, paura e rabbia. Naturalmente, nel suo caso non era insolito diventare lascivo in compagnia di una femmina attraente o anche solo semiattraente, ma addirittura in queste tragiche circostanze? Che cosa gli stava capitando?

Infine capì, perché (non per la prima volta nell'ultimo paio d'ore) gli balzò alla mente una visione. Si trattava della donna, Laura, inginocchiata davanti a lui, i vestiti in disordine, il corpo turgido e rigoglioso, le mani che si muovevano eroticamente su di sé. Non riusciva a liberarsene: quell'immagine continuava ad assalirlo. E per quanto agghiacciantemente bizzarra si fosse infine rivelata (o forse perché era stata anche indecentemente bizzarra), quella rimaneva l'esperienza più intossicante dal punto di vista sessuale che avesse mai avuto, al momento e in retrospettiva. Soprattutto, a quanto pareva, a posteriori. Cristo, ma che cosa non andava in lui?

Si sentiva la gola secca. «Prunella, io... per piacere.»

Qualsiasi sensazione stesse comunicando, qualsiasi fremito avesse sollevato fra loro, non era ovviamente privo di effetto: lei non parve sconvolta, né rifiutò recisamente. «Sono venuta per scoprire qualcosa su Antony», dichiarò, abbassando lo sguardo.

«Non era necessario che ti spingessi fin qui per questo. Volevi vedermi, vero?» Oh, Dio, il vecchio arnese stava minacciando di sollevare il tavolo. Come puoi farmi uno scherzo simile, razza di bastardo? Come fai a rizzarti in un momento del genere? Cosce bianche, lisce e lattee, lunghe dita affusolate che sfiorano delicatamente la pelle, seni splendidamente modellati così invitanti... Chiuse gli occhi, ma l'immagine mentale divenne solo più vivida.

Lei arrossì. «Tu sai di piacermi, Joe...»

«Anche tu mi piaci, Prunella.» Labbra rosso scuro, lucide nella penomba, capezzoli rosa, rigidi ed eretti, carne marmorea sul pavimento davanti a lui...

«Mi avevi detto che avresti diviso lo champagne con me...»

«Te lo avevo promesso, vero?» Champagne? Dov'era la bottiglia donatogli da Blythe? Probabilmente ancora sul retro della jeep.

Lei inspirò lievemente, socchiudendo le labbra. Nel suo sguardo si scorgeva una certa solennità. «Mi piaci, Joe», ripeté.

Altre immagini si affastellarono nella mente di Creed. La terribile cosa vischiosa che gli era crollata addosso, i visetti dei fantasmi che si libravano nella stanza, le tenebre che contenevano il nulla, l'uragano esploso dall'ufficio... le bianche mani della donna intenta a toccarsi, a sfiorare la morbida peluria fra le cosce, a cospargerlo del proprio umore...

«Laur... Prunella...»

«Sì, Joe.»

Una domanda o una dichiarazione di sottomissione? «Andiamo...»

«Sì, Joe.»

Lui si alzò dal tavolo e si mosse a fatica verso la ragazza. La sua mano tremava quando le toccò la guancia e le sollevò il viso. La tensione fra loro era così densa di sensualità che l'aria stessa sembrava elettrica. Si sporse in avanti e le baciò le labbra pallide...

...labbra carnose rosso scuro...

Prunella rispose gettandogli le braccia al collo, attirandolo in giù, facendo sì che le loro bocche premessero con forza l'una sull'altra. Lui avvertì la sua lingua dardeggiare fra le proprie labbra per poi ritirarsi...

...seni sodi, anche voluttuosamente modellate, gambe superbamente lunghe...

Continuando a baciarla, Creed la trasse in piedi, i loro corpi di colpo avvinghiati in modo che lei sentì la sua durezza, quell'incredibile, enorme erezione, e gli accarezzò la spina dorsale, attirandolo ancor più contro di sé, premendo le anche contro di lui con maggiore decisione.

La mano di Joe cominciò a esplorarla, trovò il lieve rigonfiamento di un seno sotto il cappotto, si avventurò oltre, sollevando il pullover, scostando la gonna, giungendo alla pelle morbida...

...carne rigogliosa, così salda eppure tanto soffice...

«La camera da letto», boccheggiò fra baci frenetici.

Prunella si mosse con lui, ma non giunsero più in là del corridoio. Creed gemette forte nel sollevarle la lunga gonna e nello scoprire immediatamente accesso alle cosce nude della ragazza.

...cosce bianche cosce bianche cosce bianche...

...perché lei indossava (questa riservata, compita, rispettabile signorina di buona famiglia) calze di seta e giarrettiere. Il nostro eroe cadde estatico sulle ginocchia per vedere ciò che toccava e baciare ciò che vedeva. Prunella fu percorsa da un brivido quando la sua lingua le inumidì la pelle. Sfilatasi il cappotto, si appoggiò alla parete mentre lui la esplorava con la lingua attraverso il sottile tessuto delle mutandine, e fu lieta di aver deciso di indossare proprio quella mattina, per nessun motivo particolare, un nuovissimo paio di La Perla (come poteva saperlo? Come aveva fatto a saperlo?). Sussultò a quel tocco delicato e persino la parete alle sue spalle parve sensuale. Oh, Joe, so che sei un maiale, tutti lo dicono, e so che non t'importa un accidente di me, che ti accoppieresti con qualsiasi femmina munita di due gambe e due seni, ma non mi interessa, basta che tu vada avanti, continui così...

Le ginocchia le stavano cedendo e il suo corpo scivolava lungo il muro; quando lui le abbassò le mutandine, quasi si accasciò al suolo.

Creed le circondò la vita con un braccio, attirandola sul pavimento, quando lei giacque al suo fianco, le sfilò gli slip dalle caviglie, in modo che fosse nuda, libera e aperta al suo tocco. Quindi riprese la propria esplorazione con la punta della lingua, questa volta senza intralci. La peluria fra le sue gambe era meno densa, la sua pelle meno bianca e turgida...

...di quella di Laura...

...ma rimaneva nondimeno gloriosa. Joe vi si seppellì e Prunella gridò, affondò le dita nelle sue spalle, si sollevò contro di lui, gli serrò la testa fra le cosce e lo pregò di non fermarsi, di non fermarsi...

Ma lui voleva di più. Alzò il capo, ignorando le sue proteste, e le scostò gli abiti, esponendole il ventre e il seno, amando la vista di quei piccoli rigonfiamenti sotto il leggero tessuto di pizzo. Armeggiò sulla sua schiena, trovò la chiusura e le spinse da parte il reggiseno. Le sue labbra sfiorarono i capezzoli...

...quei grossi capezzoli rigidi, così eretti e bollenti...

...baciandoli entrambi finché non si eressero orgogliosi e turgidi.

Prunella lottò per aprire i suoi jeans, ostacolata dall'espansione del suo corpo, ma in breve vi riuscì e subito lui fu tra le sue mani, tiepido e duro, pulsante di urgente domanda.

Ora fu Creed a rabbrividire a calde ondate. Adesso stava pensando a lei e a nessun'altra: c'era il suo corpo sotto di lui, e solo quel corpo gli riempiva la mente.

«Oh, sì, Joe, per favore...»

Per favore? Per favore cosa? Credeva forse che volesse smettere? Davvero immaginava di doverlo pregare? Cadde su di lei, che lo circondò con le gambe. Benché fosse umida, penetrarla non fu tanto semplice: la spinta iniziale le fece emettere un grido soffocato e lui si ritrasse lievemente prima di ritentare con maggior gentilezza, oltrepassando con lentezza il punto di resistenza finché il resto del percorso non fu agevole. Lei boccheggiò e gridò nuovamente, ma questa volta di piacere, quindi gli afferrò le natiche e lo spinse più a fondo. Creed le succhiò il collo e Prunella cercò di sottrarsi (era ancora sufficientemente contegnosa da non volere quel genere di lividi in bella vista il giorno successivo). Il tweed della gonna gli solleticava lo stomaco, aggiungendo un ulteriore, sebbene tenue, elemento di gioia all'atto.

Avvertì l'inizio di un caldo ribollire nelle profondità dei lombi, una frenesia in cerca di sfogo, e i suoi movimenti divennero più languidi, tesi e potenti.

«No», esclamò la ragazza, «non ancora! Per favore, non ancora, Joe.» Si irrigidì tutta.

«Tesoro...» Fu il suo turno di supplicare.

«Aspetta», insistette lei. «In questo modo, così...»

Che diavolo stava facendo? Ehi, no, si stava staccando, si girava.

«Prunella...?»

«Co...sì...» Faticava a parlare. Accucciata su gomiti e ginocchia, gli si offrì nuovamente.

Creed la penetrò da dietro senza alcun problema, sperando solo di non essersi sbagliato e di aver preso la strada giusta (il sesso anale non lo attirava affatto).

«Letto», mormorò lei. «...ove sta... letto?»

«In...fond...corri...oio», rispose lui, a propria volta in difficoltà con le parole.

Prunella cominciò a strisciare e Joe quasi la perse. Procedette in fretta sulle ginocchia per mantenere il ritmo: per quanto stupido si sentisse, non intendeva rovinare tutto a quel punto. Del resto, chi poteva vederlo? Grin, che osservava solennemente il loro avanzare dalla soglia del soggiorno, non contava.

«Per...di...là», ansimò a corto di respiro.

Si spinsero all'interno, Creed ripiegato sopra di lei, che reggeva quasi tutto il suo peso. Giunti al letto, Prunella vi si appoggiò con la parte superiore del corpo, mordendo la trapunta come per soffocare i propri gemiti. Ora era tutto più semplice, e lui cominciò a muoversi avanti e indietro con regolarità.

«È così bello», sospirò lei.

Massaggiandole la schiena, le natiche e l'interno delle cosce, Joe si trovò d'accordo: era così bello!

«Aspetta!»

Lui grugnì.

«Da questa parte, Joe, da questa parte!»

Si trascinò sul letto.

«Prunella...» si lagnò Creed.

Ma lei lo stava nuovamente aspettando con le gambe divaricate, e sembrava tanto diversa, tanto invitante in quella posa, con i capelli scompigliati sul viso, una sorta di lussuria sonnolenta negli occhi, le labbra lucide, il seno nudo squisito piuttosto che piccolo e... e...

Si gettò su di lei ed entrò senza neppure prendere la mira. Circondato dalle sue gambe stava raggiungendo il culmine e Prunella correva con lui e ormai mancava poco e lei gemeva al suo orecchio ed erano in sintonia perfetta e anche lui gemeva e tutto stava scorrendo...

E di colpo la sua mente fu invasa dalla donna, Laura. Stava riversandosi dentro Laura... e poi in Cally...

Ma infine, quasi al termine dell'orgasmo, ci fu soltanto Prunella.

 

26

 

fecero l'amore altre due volte, ammesso che sia il termine adatto.

«Si scagliarono l'uno contro l'altra» sarebbe più appropriato, dato che non c'era delicatezza e certamente non affetto in quei reciproci atti di autogratificazione. Gli accoppiamenti si susseguirono in rapida successione (con gran stupore di Creed) e senza diminuire in vigore (con gran stupore di Creed e di Prunella). La dignità, per converso, fu ben poca. Lui si meravigliò di se stesso e fu solo al secondo round, se perdonate l'espressione, che si rese conto di come lo stimolante non risiedesse nella ragazza a letto con lui (benché anche Prunella svolgesse il proprio ruolo), ma piuttosto nel bizzarro episodio in quell'ufficio abbandonato. Per essere più precisi, nel ricordo della stuzzicante esibizione sessuale di Laura e del successivo coito, interrotto ma pur sempre erotico; persino l'orrore che lo aveva immediatamente seguito — il vischioso strofinamento di quella sostanza membranosa che aveva dovuto strappare per passare dall'altra parte (poteva forse rappresentare la definitiva rottura dell'imene verginale da parte dell'intero corpo maschile in qualità di un unico ed eccessivo pene? Uno psichiatra lo avrebbe saputo) e sfuggire al soffocamento — aveva aggiunto un brivido perverso e innegabile (a posteriori, naturalmente) alla carnalità di quell'episodio. Gli avvenimenti svoltisi al settimo piano dell'edificio in disuso avevano lasciato nella sua mente indelebili immagini sessuali: il terrore non era stato dimenticato, ma stranamente compariva assai meno nei suoi pensieri rispetto ai momenti di dubbio piacere.

Infine, completamente svuotati, giacquero nudi sul letto, Prunella con la testa sotto il suo mento e una mano sul suo fianco. Era esile e minuta, con un corpo da ninfetta sorprendentemente piacevole nella luce smorzata.

Fu a quel punto che Creed le raccontò tutto: beh, quasi tutto, visto che omise demoni, vampiri, fantasmi, tornado negli uffici, buchi neri, e così via come ogni persona sana di mente (o che tale volesse essere considerata) avrebbe fatto. Che cosa rimaneva? Un sacco: minacce, violenza, rapimento, abbastanza da lasciare Prunella ansiosa e inorridita. La menzione dell'uomo che sarebbe dovuto essere morto non migliorò lo stato d'animo della ragazza.

Quando lui ebbe finito, la sua reazione fu prevedibile. «Devi dirlo alla polizia.»

«Non posso.»

«Ma è l'unica cosa da fare.»

«Se si trattasse di tuo figlio, correresti il rischio?»

Lei tacque un attimo prima di rispondere: «Sì».

«Mi hanno avvertito che sarebbe la fine.»

«È prevedibile da parte loro, non credi? Che cosa ti aspetti di concludere da solo? Hai già dato loro ciò che volevano, eppure non ti hanno riconsegnato Sammy.»

«Cally si metterà in contatto con me.»

«Come fai a esserne certo? Forse stanno solo cercando di guadagnare tempo.»

«A che scopo?»

Per uccidere il bambino, impartirgli una lezione e scomparire. Lei, però, non glielo disse. «Organizzare la richiesta di un riscatto?»

«Non penso mi abbiano scambiato per un miliardario eccentrico.»

«D'accordo. Forse tratterranno Sammy come una minaccia permanente per mantenerti tranquillo.»

«Solo tenerlo? Per sempre? Ma è una follia.»

«Secondo te sono un gruppo di pazzi.» Prunella alzò lo sguardo sul suo viso. «Parlami di Cally.»

«Ti ho già raccontato tutto quello che so.»

«Sì, è la nipote di Lily Neverless ed è in qualche modo legata alla setta. Ma perché ti sta aiutando? Se davvero lo sta facendo.»

«Potrebbe anche non essere un membro del culto. Può darsi che si senta leale nei loro confronti per via della nonna.»

«Che genere di lealtà si può nutrire verso qualcuno che dovrebbe essere morto? Mi riferisco a Nicholas Mallik, non alla nonna. E poi, credi sul serio che quell'uomo sia ancora vivo? Tu stesso hai letto i vecchi articoli sull'impiccagione, quindi com'è pensabile che Mallik si aggiri ancora per terrorizzarti? È assurdo.»

«Come diavolo si fa a stabilire ciò che è assurdo? Senti, stava iniziando un conflitto mondiale, quindi il governo o il Ministero della Guerra — non so chi o che cosa — può essersi reso conto di aver bisogno di un tipo come Mallik. Era uno straniero, vero? Poteva darsi che possedesse importantissime informazioni sui nemici. Oppure intendevano usarlo in qualità di spia per l'Inghilterra. Sappiamo che aveva amicizie potenti. Tuttavia non potevano graziarlo, santo cielo, non per il genere di crimini che aveva commesso. Guerra o no, il pubblico sarebbe insorto.»

Creed si sedette sul letto, eccitato dai propri ragionamenti. «Forse era meglio che tutti lo credessero morto. Quale copertura migliore per una spia? Ma certo! Dev'essere così!»

«Ti stai lasciando trasportare, Joe. La tua tesi è impossibile.»

«Lo credi davvero? Sei una giornalista, sai come vanno le cose. Ti fideresti di un politico, per non parlare di un governo, consapevole che il paese sta per precipitare in uno dei conflitti più sanguinosi della storia? Userebbero chiunque e qualsiasi mezzo per portarsi in vantaggio. Ha senso, invece, ha perfettamente senso. Questo è l'unico modo in cui Mallik sarebbe potuto sfuggire al capestro.»

«È un'ipotesi troppo cervellotica», insistette Prunella.

«Ma non incredibile. Coraggio, prova a pensarci. Sta arrivando la guerra che porrà fine a tutte le guerre. Le forze di Hitler sono in movimento, mettendo a soqquadro l'Europa, dirette verso di noi. Siamo consapevoli di essere nella merda: non siamo pronti, non possediamo le armi né un esercito addestrato. Di conseguenza non esiteremo a usare qualsiasi vantaggio riusciamo a racimolare, non importa di cosa si tratti. Questa dev'essere la risposta, non capisci? Per orribile che fosse, Nicholas Mallik poteva rivelarsi utile ai nostri scopi. Ecco perché l'hanno risparmiato. Era più utile vivo che morto, a prescindere dalle aspettative della pubblica opinione. Le notizie sulla sua esecuzione durarono solo un giorno, l'hai notato? Io non ho trovato articoli successivi fra i ritagli che mi hai lasciato.»

«Non sono riuscita a scovare altro.»

«Appunto. È stato dimenticato di colpo perché così volevano le autorità. E ora che è saltato fuori un'altra volta, costituisce una fonte di imbarazzo per tutti gli interessati.»

«Dopo tutti questi anni? Che rilevanza può avere?»

«Si tratta di un ulteriore esempio di tortuosità governativa, non importa a quando risalga e chi fosse al potere a quell'epoca. Un noto assassino, e di bambini per giunta, è ancora libero. Ancora peggio, era stato condannato a morte, era in prigione e lo hanno lasciato andare!»

«Ma tu stesso hai detto che l'uomo con cui hai avuto a che fare non sembra così vecchio.»

«Che ne so? L'ho visto a una certa distanza e con poca luce. Non mi sono mai avvicinato molto. Non è certo di primo pelo, questo te lo posso garantire.»

Prunella si morse le labbra. «Se fosse vera, sarebbe una storia sensazionale.»

«Già, ma non posso usarla per non mettere in pericolo la vita di Sammy.»

Lei si scostò, appoggiando la testa al cuscino. «Potrei scrivertela io.»

Creed si accigliò. «Non posso usarla, te l'ho detto.»

«Hai ragione, non puoi correre il rischio, però ti fornirebbe un elemento di contrattazione. Ammesso che si riveli vera.» Emise un lieve sbuffo. «Tuttavia, continuo a pensare che questa faccenda sia troppo fantastica per le parole.»

«Eppure tu la scriveresti.»

«Solo se non esistesse altra scelta. E purché mi vengano prodotte prove concrete, naturalmente.»

«Tipo? Che prove potrei trovare? Da dove dovrei cominciare?»

«Per prima cosa bisogna stabilire che Nicholas Mallik è ancora vivo.»

«Come si fa?» Lui stava rapidamente perdendo la pazienza.

«Scopri se è stato impiccato oppure no.»

«Certo. Qualche idea in proposito?»

Lei assentì. «Chiedi al boia.»

 

Non era un piano stupido come sembrava — o, perlomeno, Creed se ne sarebbe accorto tempo dopo.

Aveva preferito non uscire di casa finché Cally non gli avesse telefonato (e non voleva neppure affrontare Freddy Squires e spiegargli dove avesse trascorso quella giornata, visto che sarebbe stato contrattualmente obbligato a presentarsi al giornale nonostante la sua posizione di indipendente). Prunella, invece, era tornata al Dispatch mentre lui si vestiva, beveva caffè, fumava e mordeva il freno. Passarono ore prima che il telefono squillasse.

«Pronto?»

«Joe? Sono Prunella.»

«Lo so. Che cosa diavolo hai combinato in tutto questo tempo?»

«Ho fatto ricerche per te, come ti avevo promesso. Non è stato facile.»

«D'accordo, raccontami.»

«Antony non si è ancora fatto vivo.»

«Non mi importa niente di Blythe.»

«Qui tutti sono alquanto perplessi. Non è da lui.»

«Prunella...»

«Abbiamo una scadenza da rispettare e siamo privi della nostra stella del pettegolezzo.»

«Inventate qualcosa, tanto è quello che di solito fa lui.»

«Non è vero.»

«Mi stai rendendo infelice, Prunella.»

«Scusa. So quanto sei ansioso.»

«Dimmi che cos'hai saputo.»

La udì prendere un respiro. «Ho parlato con la cronaca, che mi ha fornito indicazioni circa l'ufficio giusto da consultare al Ministero degli Interni, quello che possiede l'elenco degli addetti alle esecuzioni.»

«Ma abbiamo abolito la pena di morte.»

«Mi riferisco al vecchio elenco. È ancora custodito negli archivi.»

«E loro ti hanno detto chi ha impiccato Mallik?»

«Naturalmente no. Non è permesso. Ma ti ricordi che in uno dei ritagli stava scritto che era stato giustiziato dal primo addetto alle esecuzioni del Ministero? Ho chiesto loro di verificare la notizia. Non l'hanno esplicitamente ammesso, ma non si sono neppure affrettati a negare. Comunque, sono convinta che sia ragionevole dare per scontato che nel caso di un crimine così orribile da suscitare un enorme interesse da parte del pubblico abbiano senz'altro usato il boia più esperto. E se ciò che sospetti è vero, a maggior ragione avrebbero assegnato l'incarico a una persona fidata.»

«Ti hanno almeno fornito il suo nome?»

«In principio si sono irritati e hanno voluto sapere di che cosa si trattasse. Io ho sostenuto che il Dispatch stava preparando un articolo sul dibattito in merito alla pena di morte, e sfortunatamente ciò li ha resi ancor più permalosi. Tuttavia non potevano negarmi l'informazione, quindi ho avuto il nome.»

«Ossia?»

«Henry Pink.»

«Non so perché, ma mi suona familiare.»

«È stato piuttosto famoso, soprattutto nel periodo precedente l'abolizione dell'impiccagione. Negli anni Settanta ha scritto le proprie memorie.»

«È... è ancora vivo?»

«A malapena, data l'età.»

«In effetti dev'essere maledettamente vecchio. Hai scoperto dove vive?»

«Ho fatto del mio meglio, Joe. Non occorre che diventi brusco.»

«Mi dispiace, davvero. Sai che cosa sto passando.»

«Certo, dispiace anche a me. Ho dovuto inchiodarmi al telefono per una serie di chiamate, e c'è voluto un po' di tempo. L'Associazione Librai mi ha fornito il titolo e l'editore del volume di Pink, quindi ho parlato con il reparto pubblicità della casa editrice. L'impiegata rammentava il libro, ma non era certa di poter rintracciare il recapito dell'autore, poi ha controllato e mi ha dato l'indirizzo di un pub nello Yorkshire. Sembra che fosse un lavoro molto popolare fra i boia: poteva occuparsi del locale e avere il tempo di assentarsi quando venivano convocati. Veri servitori del popolo, questi tizi. In ogni caso, ho telefonato al pub senza successo. L'attuale gestore non aveva la minima idea di dove abitasse Pink, ammesso che fosse ancora vivo.»

«Prunella, puoi arrivare al punto?»

«Sto solo dimostrandoti quanto sono stata brava. Abbi un po' di comprensione. Ho chiesto a quell'uomo quale birreria possedesse il pub, ho scoperto che si trattava della Tadcaster Brewery, quindi ho telefonato ai loro uffici.» La ragazza tacque un attimo. «Joe, io... mi è piaciuto molto.»

«Hai chiamato gli uffici della birreria e...»

«Ha avuto un po' di importanza per te, vero? Non è stato soltanto...». Abbassò la voce, come fosse improvvisamente consapevole di trovarsi nella redazione del giornale. «...lo sai.»

«Certo che ha significato qualcosa. Non sono mai stato tanto eccitato in vita mia.»

«Non mi riferisco solo a questo. Non hai provato un po' di più?»

Se sapessi quanto! «È stato speciale, molto speciale. Ne parleremo dopo, d'accordo? Adesso ho un sacco di cose per la mente.»

«Scusami, Joe. Volevo essere certa che tu ti fossi sentito come me.»

«Che cosa ti ha detto la birreria, Prunella?»

«Ho parlato con un impiegato molto collaborativo, che ha affermato di possedere senz'altro l'attuale indirizzo di Pink perché la ditta ama tenersi in contatto con gli ex gestori dei pub. A quanto pare, inviano loro biglietti d'auguri a Natale e per il compleanno, cose del genere, insomma. Sfortunatamente non avevano contatti diretti con Pink da circa dieci anni, quindi ignoravano se fosse vivo o morto. A ogni modo, ho preso nota dell'indirizzo, solo quello perché la ditta segue la politica di non rivelare i numeri di telefono. Non è stato un problema, comunque, visto che l'ho avuto dalla compagnia dei telefoni.»

«Davvero?»

«Sicuro, e ho anche chiamato.»

Creed attese.

«Joe?»

«Gli hai parlato.» Non si trattava di una domanda.

«No, mi ha risposto la nipote. Pink è solo, e lei si è trasferita a casa sua dopo essere rimasta vedova. Mi ha spiegato che lo zio non è stato troppo bene, il che non dovrebbe sorprendere dal momento che ha ottantun anni. Mi ha inoltre detto che non va a fargli visita da molto tempo e si sente in colpa per questo. Lei stessa non dev'essere proprio in forma, poverina.»

«Fargli visita? Significa che Pink non abita più con lei?»

«È stato ricoverato in una casa di cura parecchi anni fa, in un posto troppo lontano perché la nipote potesse andarlo a trovare spesso. In effetti, ha ammesso di esserci stata solo una volta, quando lui era già ridotto al punto di non poter ragionare coerentemente. La donna ha deciso che sarebbe stato meglio là, accudito da personale specializzato, e ha aggiunto che era una fortuna riuscire a essere accettati in un ospizio così bello. Se vuoi vederlo di persona, Joe, ti risulterà piuttosto comodo, visto che si trova qui nel sud. È in una clinica chiamata Mountjoy Retreat.»

 

27

 

sostanzialmente, Creed si atteneva a tre semplicissime filosofie di vita (ne esistevano altre, ma secondarie e di norma varianti in base alle occasioni). Le principali erano le seguenti: 1) Truffa gli altri prima che loro truffino te; 2) Non fidarti mai delle autorità, di ex mogli e amanti, degli estranei volonterosi e dei preti (di qualunque tipo); 3) Chinati dove tira il vento e rialzati bruscamente nelle pause.

In realtà non aveva mai precisato queste filosofie in termini così definiti né le aveva incise su pietra, ma se n'era servito nel corso degli ultimi dieci anni circa della propria vita come di una sorta di tacita guida. Chiamatelo duro, se preferite, oppure cinico o stupido; di sicuro, però, non potrete definirlo un ingenuo (non del tutto, perlomeno).

Benché fosse attratto da Cally (e chi non lo sarebbe stato?), per niente al mondo avrebbe creduto che a lei stessero veramente a cuore i suoi interessi. A suo parere, quella ragazza era immersa fino al collo in quello scellerato complotto. Lo aveva drogato, si era portata via Sammy, gli aveva mentito: perché, dunque, avrebbe dovuto fidarsi di lei? Ciononostante, per concederle un minimo di beneficio del dubbio (in fin dei conti gli aveva anche salvato la vita), era rimasto ad aspettare la sua telefonata per tutta la sera e la notte.

Poco prima, quando Prunella si era ripresentata alla sua porta, lui l'aveva mandata via, sostenendo di aver bisogno di tempo per riflettere e di non voler intraprendere alcuna ulteriore iniziativa prima di aver raggiunto la certezza che Cally non si sarebbe più messa in contatto. Prunella era rimasta chiaramente delusa, visto che la lucentezza nei suoi occhi non derivava soltanto dalla storia eccitante in cui era stata coinvolta, ma soprattutto dalla speranza di ripetere alcuni atti compiuti quel giorno. Erroneamente, era rimasta colpita dalle prodezze di Creed.

Se n'era andata leggermente offesa, nonostante comprendesse la pressione cui lui era sottoposto.

Creed non aveva mangiato né toccato alcolici, ma in compenso aveva fumato e bevuto caffè prima di scivolare in un sonno agitato sul divano del soggiorno, un orecchio del tutto sveglio in caso il telefono avesse suonato. Ma non era successo.

La mattina dopo si era alzato presto per esaminare le cartine stradali, l'indirizzo fornitogli da Prunella accanto a sé sul tavolo da cucina, finché non ebbe rintracciato il villaggio nei cui dintorni si trovava la casa di cura.

Ora era immerso nel traffico mattutino, diretto fuori dalla città verso il Berkshire, in viaggio per incontrare un boia in pensione e, per quanto ne sapeva, completamente senile. Sentiva nelle ossa che si sarebbe rivelata un'altra giornata strana.

 

28

 

il Mountjoy Retreat era impressionante, come una di quelle splendide tenute in vendita che compaiono a tutta pagina e in quattro colori su Country Life, il genere di cui non viene neppure pubblicato il prezzo, ma per le quali «si invitano offerte sostanziali». Per gloriosa che fosse, la casa di cura non si era tuttavia rivelata facile da trovare. Un abitante del luogo, fermato da Creed, aveva dichiarato di averne sentito parlare, ma che fosse dannato se ne conosceva l'esatta ubicazione. Un altro lo aveva spedito in una direzione completamente sbagliata, ma infine lui era riuscito a ottenere indicazioni affidabili presso l'ufficio postale del villaggio.

La clinica sorgeva a parecchi chilometri dal centro abitato, seminascosta in un viottolo di campagna dove, fra il verde, solo un cartello insignificante e malandato ne proclamava l'esistenza. Joe aveva svoltato fra i due pilastri di mattoni e guidato lungo un tortuoso viale finché la vegetazione ai lati non si era diradata per lasciare il posto a un enorme prato, al centro del quale s'innalzava la sua meta. Arrestò la jeep per osservarla.

Se avesse posseduto qualche nozione d'architettura, avrebbe notato che l'edificio consisteva in una combinazione di stili del sedicesimo, diciassettesimo e diciottesimo secolo, nonostante fosse in massima parte di origine Tudor. Sui muri rosati spiccavano delicati motivi ornamentali, mentre alte finestre erano disposte simmetricamente su entrambi i lati di un portico dalle colonne bianche molto alte. Sui lati della facciata svettavano due torri e il prato inaridito dall'inverno si stendeva attorno a un vasto cortile in ghiaia. Per Creed era soltanto un paradiso per ricchi.

Rimise in moto la Suzuki e si spinse fino all'ampia gradinata d'ingresso, parcheggiando di fianco a un furgone dal quale venivano scaricati proprio in quel momento parecchi scatoloni e vassoi coperti.

Sceso dalla jeep, seguì uno degli uomini, intento a trasportare sei stretti contenitori in equilibrio precario l'uno sopra l'altro.

Una figura massiccia in abito nero e cravatta grigia apparve sulla soglia. «Adrian, se le lasci cadere ti strangolerò personalmente», esclamò, con un'espressione nel contempo allarmata e sdegnata sul viso. «Lo chef morirebbe se vedesse i suoi dolci in un pericolo mortale del genere.» Il suo sguardo si posò per un attimo su Creed, poi l'uomo si voltò e sparì all'interno dell'edificio.

Joe sorpassò Adrian, che improvvisamente sembrava avere perso ogni sicurezza e stava tastando ciascun gradino invisibile con il piede prima di azzardarsi a salire, ed entrò nell'atrio dall'alto soffitto.

Il tizio massiccio stava parlando con una donna ancor più robusta, per non dire obesa, seduta a un grande tavolo di quercia.

«L'ultima consegna avverrà fra le tre e le quattro del pomeriggio, mia cara. Va bene?»

La donna, in uniforme azzurra e golfino rosa, fece una smorfia.

«Beh, vi avevo informati degli orari al momento dell'ordine», sbottò l'uomo, irritato. «Se solo il signor Parmount avesse permesso allo chef di cucinare sul posto, questi problemi sarebbero stati risolti.»

«Bisognerà arrangiarsi, signor Greenaway.» Lei aveva una vocetta da bambina. «Ma per favore, non mi mandi l'ultimo carico più tardi delle tre.»

«Carico? Dubito si tratti di una descrizione appropriata. Credo scoprirete che lo chef ha superato se stesso in occasione della vostra festicciola. Sono certo che potrebbe insegnare al vostro chef — o forse dovrei chiamarlo cuoco — una cosetta o due. Data la situazione, saremo costretti a confidare che costui riesca almeno a riscaldare i nostri piatti nel migliore dei modi. Non è un buon sistema di fare le cose, mia cara. Estremamente approssimativo, lo definirei anzi.»

«Sono certa che anche la vostra fattura supererà se stessa, signor Greenaway.»

«Se volete il meglio, dovete pagare il giusto prezzo. Non è forse vero che il signor Parmount desidera sempre il massimo? Non mi risulta che in passato si sia accontentato di qualcosa di meno. Passerò più tardi per accertarmi che tutto sia imbandito correttamente.» Un'altra rapida occhiata a Creed (questa volta di disappunto) e l'uomo massiccio si diresse alla porta in tempo per imbattersi nel fattorino. «Anche questi contenitori vanno portati in cucina. E sbrigati, perché oggi ci resta ancora molto da fare.» Ciò detto, scomparve.

Creed si avvicinò al tavolo.

Il porcellino in azzurro lo guardò con la medesima disapprovazione appena mostratagli dal signor Greenaway, attendendo che fosse lui a parlare.

«Ecco, mi chiamo Joseph Pink. Sono qui per vedere Henry Pink», esordì Joe.

Gli occhietti della donna si dilatarono un poco. «Prego?»

«Mi chiamo Joseph Pink e vorrei vedere Henry Pink.»

Lei assunse l'aria di una bambina di dieci anni cui fosse stata chiesta la radice quadrata di 56.843,05.

«Mio zio», spiegò Creed. «Anzi, il mio prozio. Mia madre è sua nipote. Acquisita», si affrettò ad aggiungere, rendendosi conto che il proprio nome non sarebbe potuto essere Pink se la madre fosse stata una consanguinea. Cristo, si sarebbe dovuto preparare una storia più plausibile.

Le labbra della donna (sottili per una persona tanto grassa) si mossero come se stesse per parlare, ma invece lei inclinò la testa, esaminando la bizzarria che le stava di fronte.

«Sono venuto dallo Yorkshire per vederlo.» Evitò di rendersi ridicolo cercando di parlare con l'accento di quella zona.

Infine l'addetta alla ricezione si pronunciò. «Il signor Pink non riceve visite.»

«Di solito no. È un viaggio lungo, capisce? Di questi tempi mia madre non è molto salda sulle gambe e io trascorro un sacco di mesi all'estero. È difficile avere l'occasione di venire a trovare lo zio Henry.»

La vocetta si sforzò di suonare autorevole. «Temo sia impossibile fargli visita. Il signor Pink sta troppo male.»

«È proprio per questo che sono qui. Io e la mamma siamo preoccupati per la sua salute e, ecco, francamente odio l'idea di non vederlo un'ultima volta prima che muoia. Devo essere a Dubai domani. La mia ditta non mi concede molte ferie, quindi devo fare il possibile finché sono qui. Ci vorranno perlomeno altri tre mesi prima che possa tornare in patria. È il guaio della professione d'ingegnere, anche se non posso lamentarmi dello stipendio.»

Dal modo sdegnoso con cui la donna ispezionò le sue guance irte di barba e i suoi vestiti male in arnese, lui si accorse che l'aver menzionato il denaro poteva esser stato un errore in quel contesto: doveva apparirle un transfuga da un accampamento di barboni. Gemendo dentro di sé, si rese inoltre conto che se davvero avesse lavorato all'estero in un posto come Dubai, allora sarebbe dovuto essere un po' meno pallido. L'addetta alla ricezione poteva anche sembrare stupida, ma nessuno lo era fino a quel punto.

«Mi può mostrare un documento?» chiese infatti lei, fulminandolo con lo sguardo.

«Ecco, vede, sono assente così spesso che raramente mi ricordo di portare con me la patente britannica.»

«Non è venuto in macchina?»

«Sì, ma ho scordato la patente. Sa, sono venuto qui in tutta fretta per vedere il vecchietto prima che schiattasse, prima che esalasse l'ultimo respiro. Vediamo se ho almeno la carta di credito.» Si tastò le tasche, rovistò persino in una o due. «Riesce a crederci?» esclamò, esibendosi nel suo miglior sorriso alla Mickey Rourke. «Ho dimenticato addirittura il portafoglio. Sono un tale sbadato talvolta, no, molto spesso, in effetti...»

«È un giornalista?»

«Prego?»

«Le ho chiesto se è un giornalista.»

«Come le è venuta in mente un'idea simile?»

«In passato, molta gente ha tentato di vedere il signor Pink. Gente della stampa.»

«Suppongo sia a causa del suo vecchio lavoro. Personalmente, ritengo sia stato uno sbaglio da parte sua scrivere quel libro di memorie. Avrebbe dovuto mantenere segreta la sua professione. Anche la mamma è stata ripetutamente molestata da ficcanaso...»

Lasciò in sospeso la frase nel vedere che il viso della donna, per quanto carnoso, era diventato duro come la roccia.

«Penso sia meglio che se ne vada.»

«Credo che lei abbia ragione», rispose subito Creed. Anni di intrusioni gli dicevano che qui il bluff non era riuscito: discussioni, tentativi di persuasione, insistenza, fascino e persino la corruzione si sarebbero dimostrati uno spreco di tempo e d'energia con un tipo così. Questo, però, non significava affatto che avrebbe rinunciato.

Lei accennò alla porta con la testa, quasi intendesse ricordargli dove si trovava.

«Sarà meglio che mi faccia fissare un appuntamento dalla mamma.» Parlando, cominciò ad arretrare. «Passerò per i canali ufficiali e, la prossima volta, mi porterò appresso un documento, d'accordo? Talvolta sono proprio stupido. Chi è il responsabile qui dentro, a proposito? Il signor Parmount, vero? Non vuole rivelarmelo? Segreto di stato? Va bene, porga i miei saluti a zio Henry almeno. Gli riferisca che gli farò avere un pacco di cibo. Sto scherzando, ovviamente — ho potuto constatare che mangiate bene. Grazie per la collaborazione, è stata davvero un tesoro.»

Lei si irrigidì come un monolite, ma Joe stava esaminando la scalinata prima di andarsene con un amichevole gesto della mano.

Merda! imprecò fra sé una volta sui gradini d'ingresso. Avrei dovuto pianificare meglio, telefonare per avvertire del mio arrivo, inventarmi una storia decente. In cortile, l'uomo massiccio vestito di nero era al volante di una Volvo, intento a controllare una lista. Creed scese le scale, si diresse all'auto e batté sul finestrino.

Sorpreso, Greenaway sollevò lo sguardo e abbassò il vetro. «Sì?»

Il nostro eroe si sporse in avanti, appoggiando un gomito sul tetto. «Oggi è in atto qualche preparativo speciale?» domandò in tono amabile.

«Non vedo che cosa abbia a che fare con lei», fu la poco amabile risposta.

«Mi scusi tanto, caro.» Joe si raddrizzò, avendo ormai visto e udito abbastanza da rendere retorica ogni richiesta. Con uno sbuffo, Greenaway rialzò il finestrino e mise in moto la Volvo, avviandosi lungo il viale.

Un rumore di passi attrasse l'attenzione di Creed. Adrian, il giovanotto che aveva trasportato i pacchi nelle cucine, stava tornando al furgone. Stava per salirvi quando il fotografo gli si avvicinò.

«Grandi manovre, vero?»

«Eh?» Il fattorino girò la testa. Aveva i capelli color paglia e la carnagione florida.

Creed indicò l'edificio con un pollice. «Hanno organizzato una festa? L'ho vista portare un sacco di cibo.»

«Il signor Greenaway mi ha parlato di un ballo in costume.»

«Ma non hanno personale interno in grado di provvedere a un'occasione del genere? Devono pur servirsi di un cuoco e di inservienti per occuparsi dei pasti degli ospiti.»

Adrian sogghignò. «E un posto per gente maledettamente ricca. Certo che esistono dei cuochi fissi, ma noi ci incarichiamo degli eventi speciali. Stasera, però, non abbiamo accesso al ballo. Ci limitiamo a consegnare.»

«Per quante persone avete cucinato?»

«Non lo so. Un bel po', comunque.»

«Vuole una sigaretta?»

«Sicuro.»

Joe gli offrì uno dei suoi manufatti scuri.

«No, grazie», reagì subito il ragazzo.

Ne estrasse una dal proprio pacchetto e lasciò che Creed gliela accendesse. «Grazie. E lei che cosa sta facendo da queste parti?»

«Ho tentato di vedere uno zio malato, ma la tizia al tavolo me l'ha impedito.»

«Il signor Greenaway sostiene che non sono ammessi visitatori. La clinica ospita soltanto vecchi e pazzi, tutti ricchissimi. Ecco perché non possiamo rimanere a servire il rinfresco, e io ne sono maledettamente contento.»

«Pazzi? Qui dentro?»

«Sempre secondo il mio capo. Non si tratta di un manicomio, però. Quando l'ho definito così, per poco il signor Greenaway non mi dava uno schiaffo. La gente che manda avanti questo posto è molto permalosa.»

«È un luogo molto appartato.»

«Già, non sono in molti a sapere che esiste. Oh, la donna cannone ci sta tenendo d'occhio. Sarà meglio che me ne vada.» Il giovanotto saltò sul furgone.

Giratosi, Joe scorse l'addetta alla ricezione che li osservava dalla soglia. Mentre il furgone si allontanava, si diresse alla jeep e salì al posto di guida, quindi accese il motore e imboccò il viale. Nello specchietto retrovisore, notò che la sua partenza veniva accuratamente sorvegliata.

 

29

 

accucciato fra la vegetazione, Creed studiava il passaggio di ogni auto, agevolato nel suo esame da una luna splendente e bassa nel cielo. Questo era il campo in cui eccelleva. Aveva freddo, era scosso dai brividi, ma sapeva come nascondersi e aspettare: ormai possedeva anni di pratica.

Il momento migliore per tentare di introdursi nell'edificio sarebbe stato quello di massimo afflusso, con una marea di persone occupatissime a divertirsi. In quel caso specifico, gli ospiti dovevano essere stati accuratamente selezionati, quindi si sarebbe rivelato impossibile entrare confondendosi fra la folla, soprattutto nel suo attuale stato a dir poco dimesso. No, qui era necessario ricorrere a una buona dose di sotterfugio, o, quantomeno, a un ingresso posteriore.

Bentley, Rolls e Jaguar sembravano essere un imperativo, con l'eccezione di qualche Mercedes; le BMW erano assolutamente fuori questione, quindi doveva trattarsi di una faccenda di classe.

Benché non fosse in grado di scattare fotografie a quella distanza (si trovava a una trentina di metri dalla costruzione), si servì dello zoom della Nikon per osservare meglio gli invitati in arrivo. Alcuni fra quei visi lo sorpresero, perché erano famosi o, quanto meno, «noti» al pubblico. Tuttavia, la faccia che lo sorprese in assoluto di più fu quella di Cally McNally.

Si era alzato un attimo in piedi per dare sollievo alle gambe anchilosate e doloranti quando una macchina era entrata nel viale a velocità sostenuta. A stento era riuscito a precipitarsi dietro un albero prima di essere colto in flagrante.

Dopo un attimo, si era azzardato a lanciare una rapida occhiata alla Jaguar: la ragazza, di profilo, stava parlando con il guidatore. Creed fu subito certo che fosse proprio lei e si appoggiò al tronco, a bocca aperta, letteralmente esterrefatto, perché aveva avuto un'ulteriore sorpresa. Al volante stava seduto Lidwit, Lidrip, Lidtrap.

Lidtrap aveva dichiarato di non conoscerla! Cally stessa aveva confessato di non avere alcun rapporto con lui! A che gioco stavano giocando? E che cosa facevano qui al Mountjoy Retreat?

Un'altra macchina passò lungo il viale, ma Joe era troppo scosso per spiarne gli occupanti.

Perché Cally era lì? La domanda gli bruciava nella mente. Doveva esserci una buona ragione, non poteva assolutamente trattarsi di una coincidenza, maledizione!

Si spostò dall'albero, inoltrandosi fra la vegetazione e allontanandosi dal viale: aveva ormai visto abbastanza. Sinora erano transitate una cinquantina di auto, quasi tutte con due o tre persone a bordo, raramente una soltanto.

Dirigendosi furtivamente verso la casa di cura, continuò a domandarsi che cosa facesse Cally in simile compagnia. Si fermò ai bordi del prato; in distanza, gli invitati stavano salendo i gradini d'ingresso, gli abiti da sera illuminati dai lampadari dell'atrio. Il suo dito indice aveva cominciato a fremere, e dovette rammentare a se stesso di essere sul posto per motivi ben più importanti di un semplice servizio fotografico. Se avesse seguito la linea degli alberi, sarebbe stato in grado di arrivare sul retro senza essere visto, e l'esperienza gli insegnava che in circostanze del genere porte e finestre venivano invariabilmente lasciate aperte: il personale soleva sempre uscire all'esterno per una sigaretta o una pausa, mentre gli ospiti sentivano spesso il bisogno di una boccata d'aria o di un rapido palpeggiamento di una qualche amica. Creed si era infiltrato in una quantità di feste private proprio a causa di questi andirivieni. Una volta dentro, la parte difficile sarebbe stata rintracciare Henry Pink. Bussare a ogni porta e chiedere informazioni si poteva rivelare assai poco pratico, esattamente come rivolgersi al personale; in qualche posto, però, doveva esserci un registro con i nomi dei ricoverati. Se fosse riuscito a trovare gli uffici, certamente incustoditi a quell'ora di sera, non avrebbe avuto alcun problema, assolutamente nessuno. Guarda in faccia la realtà, Creed, non hai una sola speranza al mondo!

Ma esisteva un altro metodo. Quel posto era pieno di vecchi, ed è noto che le persone molto anziane amano chiacchierare. Bastava cercarne qualcuno, fare in modo di non spaventarlo e limitarsi a domandare. Purché non li avessero mandati tutti a letto presto e un infermiere non lo avesse sorpreso ad aggirarsi nei corridoi, il piano poteva funzionare. Comunque, non aveva altra scelta.

Mentre l'adrenalina cominciava a scorrere (non poteva impedirsi di godere di questo genere di cose, anche se le presenti circostanze erano piuttosto tragiche), Joe sgattaiolò fra i tronchi in direzione del retro dell'edificio. Inciampò in così tante radici e cadde con tale frequenza fra gli arbusti da decidere ben presto che sarebbe stato più facile e rapido abbandonare il riparo degli alberi e mantenersi ai margini del prato. Finché fosse rimasto all'ombra dei rami, tutto sarebbe andato bene.

In capo a qualche minuto stava guardando la facciata posteriore della casa di cura, percorsa in tutta la sua lunghezza da una terrazza con due scalinate centrali che conducevano in un giardino ricco di siepi.

Sfrecciò rannicchiato attraverso il prato verso il cespuglio più vicino, dove rimase nascosto in attesa, cercando di capire se era stato individuato. Nessuno chiamò. Dopo aver ripreso fiato, avanzò nuovamente, tenendosi chino, con una mano nella tasca del cappotto per impedire alla Nikon di sbattere. Pensò di aver udito una porta aprirsi sulla terrazza e si bloccò di colpo, maledicendosi per il rumore provocato dalla sua corsa sulla ghiaia. Si tuffò dietro una colonna ornamentale.

Non accadde nulla. Niente passi né grida. Sospirò di sollievo e si avventurò oltre, questa volta non così in fretta, fino a raggiungere l'ombra proiettata dalla terrazza. Accucciato con la schiena appoggiata al muro, fece del proprio meglio per rilassare i nervi tesi.

Tutto era tranquillo. L'edificio stesso sarebbe potuto essere deserto tanto poco era il rumore che si udiva lì sul retro. In cielo si notavano alcune nuvole, che per motivi noti solo a loro stavano evitando la luna, la cui luce sconcertante regnava suprema. Creed rabbrividì.

«Joe?»

Fu quasi un bisbiglio al suo orecchio.

Lui sobbalzò e per poco non picchiò la testa contro il muro.

«Sei tu, Joe?»

Il fotografo sollevò lo sguardo sulla balconata. Si sentì improvvisamente molto debole quando vide la testa di uno sciacallo argentato che lo osservava.

«Sono io, Cally. Aspettami lì, scendo subito.»

Cally? Con una maschera? Ma certo, il ballo in costume! Ma come faceva a sapere che lui era lì? Non solo sotto la terrazza, ma al Mountjoy Retreat stesso! Come?

Quando la ragazza scese le scale con il lungo muso illuminato dai raggi lunari, Creed stava tremando al punto da non riuscire ad alzarsi.

«Puoi anche stare in piedi, Joe», sussurrò lei. «Nessuno può vederti dalla casa.» Con gran sollievo del nostro eroe, si tolse la maschera.

Lui si sollevò a fatica. «Come...?»

«Ti ho visto mentre passavamo in macchina.»

«Non è possibile.»

«Alla luce dei fari prima che ti nascondessi dietro un albero. Eri illuminato come un coniglio spaventato.»

«E perché non ti sei fermata?»

«Non volevo che Daniel sapesse della tua presenza.»

«Ah.» Una pausa. «Daniel. Vuoi dire il tuo amico regista, quello per cui avevi sostenuto di lavorare, tranne che lui ha dichiarato di non conoscerti affatto e tu stessa hai ammesso in seguito di avere mentito, ed eccovi qui assieme, invitati alla medesima festa, a bordo della stessa auto, ma tu...»

«Vuoi tacere un attimo?» sibilò lei. «Ti avevo messo in guardia nei confronti di questa gente. Sono malvagi, pericolosi, e sto cercando di proteggere te e tuo figlio.»

«Ciò non spiega nulla. Chi è questo Lidtrap e che cosa rappresenta per te?»

«È mio fratello.»

Creed emise un suono a metà strada fra il gemito e il sospiro.

«Nostra nonna ha lasciato al Mountjoy Retreat tutto quanto possedeva. Stasera siamo stati invitati, assieme ad alcuni suoi vecchi amici e conoscenti, per renderle omaggio.»

«Con un ballo in maschera? Strano tipo di tributo.»

«Lily amava queste cose. Il suo ultimo desiderio è stato proprio di venire ricordata così.»

Lui stava riflettendo furiosamente. «Aspetta... aspetta un momento...»

«Abbassa la voce.»

«Tua madre è qui, vero? La figlia di Lily Neverless, Grace. Questo posto è una casa di cura per malati di mente.»

«Al Mountjoy si occupano dei mentalmente instabili e anche dei vecchi, ma si tratta soprattutto di una casa di riposo.»

«I vecchi e i matti, vuoi dire. Un gruppetto di picchiatelli che vivono in grande stile.» Creed scosse la testa con disappunto. «Oh, Cristo, ecco la spiegazione! Quello scherzo di natura che tu sostieni essere Nicholas Mallik è ricoverato qui. Quegli stupidi bastardi che gestiscono questo posto hanno permesso a lui e al suo ossuto gregario di evadere per creare un mare di guai.» Picchiò il pugno contro il muro. «È davvero troppo, troppo per trattarsi soltanto di una coincidenza! Anche Henry Pink, l'uomo che avrebbe dovuto giustiziare Mallik, è qui. E ora tu mi spieghi che Lily Neverless ha lasciato la sua fortuna a questo posto. In qualche modo è tutto collegato, sono tutti pezzi del medesimo rompicapo.»

Si appoggiò alla parete e studiò Cally: alla luce della luna appariva splendidamente candida nell'abito scuro coperto di strass che le modellava perfettamente il corpo. Nonostante tutti i propri dubbi e la sfiducia che nutriva in lei, avrebbe voluto attirarla a sé, annegare dentro di lei, riscaldarle le spalle e la schiena con le mani.

«Joe, è per questo che sei venuto? Per vedere il vecchio boia?»

«Già, per Henry Pink. Ho immaginato fosse l'unica persona in grado di dirmi se tu mi avevi mentito o meno riguardo a Mallik.» «Posso aiutarti.»

«Come volevi aiutarmi per farmi riavere Sammy? Perché non mi hai telefonato?»

«Oggi pomeriggio non ti ho trovato, ma sapevo che Sammy sarebbe stato al sicuro fino al termine del ballo di stasera.»

Lui le afferrò il braccio. «Stai sostenendo che mio figlio è qui?»

«Pensavo che fossi venuto per questo. Ignoravo come lo avessi scoperto, ma...» «Sammy è qui?»

«Abbassa la voce! Possiamo portarlo via. Possiamo portare via entrambi.»

«Entrambi? Anche Henry Pink? Lo tengono prigioniero?»

La ragazza scosse la testa con impazienza. «Non lui, mia madre, Joe. Possiamo farli uscire da qui. Non capisci, ma ti rendi conto del perché ho dovuto aiutarli? Hanno tenuto rinchiusa mia madre per tutti questi anni, e poi, quando sono stata abbastanza adulta da accorgermi di quanto stava accadendo, hanno minacciato di ucciderla. Sono stata costretta a fare ciò che mi chiedevano.»

«Non afferro. Avresti potuto rivolgerti alla polizia e alle autorità sanitarie. Tua nonna sarebbe stata in grado di darti una mano.»

«No, no. Lei faceva parte del culto. Anche mio fratello. Non hai idea di come sia questa gente. È coinvolta in cose che non potrai mai capire. Mia madre non è... non è del tutto normale, ma non assomiglia affatto a loro, non è malvagia. Lily l'ha fatta ricoverare quando mio fratello e io eravamo piccolissimi, poi si è presa cura di noi, provvedendo affinchè non ci mancasse nulla. Ma ci ha corrotto, iniziandoci alle sue pratiche, sue e di Mallik.»

Creed se la ritrovò improvvisamente fra le braccia e poté davvero accarezzarle le spalle e la schiena, riscaldandole la pelle gelata.

«Se solo tu sapessi che cos'ho passato! Sono parte di loro, Joe, ma deve finire, subito. Nella loro follia, sono convinti di poter riacquistare la gloria passata.»

«Calma, calma. Di chi stai parlando? Di Mallik?»

«Sì, lui e gli altri. Sono vecchi, alcuni addirittura infermi, ma vogliono di nuovo ciò che possedevano in precedenza. Credono di poter tornare a essere potenti.» Scostò la testa dalla sua spalla in modo da poterlo guardare negli occhi. «Devi aiutarmi, Joe. Abbiamo bisogno l'uno dell'altra.»

«D'accordo, andiamo.» Lui si mosse verso il giardino, ma Cally lo trattenne.